Gliela stanno facendo a immagine e somiglianza, su misura per il sarto Massimiliano Allegri. La nuova Juve cresce bene, non sarebbe corretto definirla un instant team, piuttosto la rivisitazione della vecchia strategia. Tra novembre e dicembre scorsi, quando il rinnovo di Paulo Dybala era ancora un discorso in piedi, il diktat societario era quello di investire su giovani bravi. Bravi sì, altrimenti non sarebbe stata una strategia da Juve, ma soprattutto senza rincorrere troppo gli ultratrentenni. Se vogliamo, i postumi dell’onerosissima operazione Ronaldo: una scottatura non dal punto di vista del marketing e del merchandising, piuttosto dei risultati.

Cristiano era stato preso per vincere la Champions, quantomeno per provarci, invece il profitto era stato lo stesso, un disco rotto: eliminazione agli ottavi, mai un salto ai quarti. Da lì la necessità di proseguire sul filone intrapreso con de Ligt (poco importa che pochi giorni fa sia andato al Bayern, questione di scarso feeling con l’allenatore), rafforzato da Chiesa e poi perfezionato dall’affare Vlahovic. Lo stesso affare che lo scorso dicembre era ritenuto impossibile, come ammesso in seguito da Andrea Agnelli, se non si fosse provveduto a una ricapitalizzazione che avrebbe consentito di versare i famosi 80 milioni, bonus compresi, alla Fiorentina. Ecco, la strada era sempre quella: anno di nascita 1999 (de Ligt), magari 1997 (dopo il biondo olandesino sarebbe arrivato Chiesa), anche 1998 (l’operazione Locatelli della scorsa estate). La migliore soluzione per riaprire un ciclo, immaginando che Chiellini non avrebbe rinnovato, che Bonucci non è più un bambino, che Dybala avrebbe salutato, che Rabiot e Ramsey non avevano convinto malgrado fossero arrivati a parametro zero (ma che ingaggi…) e potremmo continuare fino all’eternità.

Un giorno all’improvviso, dopo due quarti posti consecutivi e nessun trofeo (i famosi zero titoli) nell’ultima stagione, ecco la clamorosa inversione di tendenza. Un modo per aggrapparsi a Max Allegri, che ha altri tre anni di contratto, con la totale necessità di non concedergli alibi. Da lì la retromarcia, da casello a casello in contromano sull’autostrada, roba da ritiro della patente se non fosse stato necessario e quasi di vitale importanza. Allegri ha chiesto gente abituata a vincere, campioni fatti e compiuti, non soltanto giovanotti dalle grandi doti ma che dovrebbero prima annusare l’aria per poi essere magari pronti a conquistare trofei. Perché puoi avere qualità, di sicuro l’affare Chiesa è stato eccellente, ma se ti manca la garra e la leadership di chi è abituato a coniugare il verbo “vincere” il rischio è quello di tornare ancora a zero.

Da qui l’intuizione Pogba che non è certo un trentacinquenne, classe 1993, ma che conosce a memoria l’ambiente e che ha un palmares abbastanza juventino per essere sospettabile. Il Polpo non ci ha pensato un minuto, voleva tornare nella sua amatissima dimora bianconera, se avesse voluto guadagnare di più (almeno 4-5 milioni a stagione) sarebbe andato a Parigi oppure avrebbe fatto una scelta completamente diversa. Di Maria è quasi un trentacinquenne, appena una primavera in meno, ma la classe è intatta, il fisico integro, l’entusiasmo quello di un ragazzino, perfetto per il 4-3-3. Se avete letto le recenti – recentissime – dichiarazioni di Allegri, sono state un inno al Fideo, l’esigente Max sintesi della felicità fatta persona. Insomma, 2-0 per lui in sede di mercato, l’esigenza rispettata alla lettera e avanti con una Juve sempre più competitiva.

Il terzo tassello è un ritorno al passato, classe 1997 come Federico Chiesa. Un capolavoro l’arrivo di Gleison Bremer, la Juve capace di sorpassare in curva e sul rettilineo senza sbandare. Abilissima a chiudere il trasferimento di de Ligt al Bayern in modo da inguaiare l’Inter ancora alle prese con la querelle Skriniar e con il Paris Saint-Germain che non stava garantendo quei 70 milioni minimi per formalizzare la cessione e poi andare sul brasiliano in uscita dal Torino. L’Inter aveva in mano Bremer da sei o sette mesi, ma il mercato è fatto di momenti – ne basta appena uno – piuttosto che di palloni posizionati sul dischetto senza calciare con la porta vuota. Può darsi che Bremer diventi presto un rimpianto dell’Inter, di sicuro è l’esaltazione della quinta marcia Juve. Come quel Mondiale di ciclismo nel 1972 a Gap, con Marino Basso capace di sorpassare Franco Bitossi a circa 50 metri dal traguardo e malgrado una memorabile fuga sfumata sul più bello. Sotto lo striscione Bremer c’è passata la Juve e neanche al fotofinish perché l’Inter si è piantata sul più bello, potemmo dire dopo 210 chilometri su 211 al comando e senza avversari.

Cosa manca ora a Max per allenare una squadra sempre più competitiva? Di sicuro un regista, Leandro Paredes sarebbe perfetto, a patto che si consumi qualche esubero. Sarebbe cosa buona e giusta se si trovasse un’intesa per la risoluzione del contratto di Ramsey, ma anche se Rabiot e Arthur individuassero una sistemazione gradita in modo da liberare altri due posti. Con Pogba più Locatelli più McKennie più Zakaria più Paredes ci sarebbe quell’assortimento per archiviare delusioni e veleni dell’ultimo giro di carte. A voler essere pignoli mancherebbe un esterno sinistro all’altezza di un roster così ambizioso, l’ultimo Alex Sandro ha convinto poco e tra l’altro ha un contratto in scadenza tra poco meno di un anno. Magari un altro attaccante con le caratteristiche di Morata, meglio se fosse Alvaro oppure un tipo alla Arnautovic.

Possibilmente, con calma, un altro difensore centrale perché Bremer è l’erede di de Ligt, mentre Chiellini non è stato sostituto, con tutto il rispetto per il rampante e competitivo Gatti.

E Zaniolo? Resta un obiettivo, all’interno di incastri che vanno trovati con la Roma, dopo aver segnalato timidi (per ora) sondaggi Tottenham. A conferma che la nuova Juve sta cambiando completamente pelle in attesa che le marce siano altissime piuttosto che il motore ingolfato dell’ultima stagione. In fondo, il manifesto ideale lo ha preparato Allegri con una dichiarazione che non ha bisogno di interpretazioni. “Dovremo vincere lo scudetto”, quattro parole che sono una sentenza. Non a caso dovrà essere lui il sarto, gli hanno dato la stoffa perfetta per un vestito elegantissimo.