Si chiude un anno vincente che lascia la sensazione di un 2022 altrettanto ricco di soddisfazioni, grazie al lavoro della dirigenza e la sorprendente velocità di integrazione di Simone Inzaghi.
A dirla tutta questo 2021 entusiasmante per i risultati e la resilienza dell’Inter ha costantemente tenuto il bottone del terrore acceso, come se nessuna conquista potesse essere goduta fino in fondo.

Alcuni fattori sono contingenti, altri sono imprescindibilmente legati alla necessità di spaventare prima di informare, come se non esistesse la possibilità di dare una notizia condendola di opinioni drammatizzate e immaginando scenari apocalittici.
L’Inter ha vinto grazie al lavoro superbo di Marotta, Ausilio, Baccin e Antonello, ha aumentato i ricavi, e costruito un progetto tecnico che è stato definito da Spalletti, aumentato dal lavoro di Conte e migliorato ulteriormente da Simone Inzaghi.
Ha vinto uno scudetto che mancava dal 2010, è finalmente approdata agli ottavi di Champions, pur dovendo affrontare un turno proibitivo col Liverpool, ed è riuscita a costruire un gruppo che non dipende più da un singolo.

Non se ne poteva più di sentire che era l’Inter di Ibrahimovic, Mourinho, Icardi, Conte, Lukaku ecc… Sembrava che ogni successo, ogni stagione, dipendesse esclusivamente dalla presenza di un eroe, senza il quale la squadra era poca cosa. Non era esattamente così prima e a maggior ragione non è così oggi, in un’Inter che ha un gruppo in cui non emergono personaggi da copertina che sembrano più uguali degli altri.

Ho evocato per anni la mentalità vincente, quella che potesse durare nel tempo prescindendo dai protagonisti di passaggio, per quanto straordinari, senza i quali sembrava che la squadra fosse destinata a crollare.
È la prima volta dai tempi di Bersellini che c’è un progetto di alto livello, edificato sulle spalle di giovani di talento, si guarda con più attenzione agli italiani e senza fare passi più lunghi della gamba. Sta avvenendo tutto in un contesto di emergenza perpetua, perché il senso di pericolo incombente è partito proprio dal gennaio di quest’anno quando, dopo il già drammatico arrivo del Covid, sono emerse parecchie criticità nella leadership degli Zhang e la crisi di Suning.

Da un anno la cessione viene raccontata come inevitabile e più di qualcuno ha speculato sui conti e le difficoltà nerazzurre, come se tutto fosse solo irrimediabile.
Ad aprile è poi arrivata la bomba della Superlega, un evento tanto dirompente da scatenare un’ondata emotiva senza precedenti, con i 12 club scissionisti dalla Uefa e le pressioni del mondo sportivo e persino politico ai massimi livelli (Draghi, Merkel, Johnson) per chiedere alle 12 società di tornare sui propri passi. L’Inter avrebbe avuto un gettone di ingresso di 250 milioni che avrebbe risolto tanti problemi e, quando tutto è saltato, Zhang è parso disorientato. L’Inter è andata avanti ma da quel momento il presidente si è rivisto a Milano solo per i giorni della celebrazione dello scudetto e dare mandato per le cessioni eccellenti.

Sempre Zhang ha chiesto un prestito al fondo Oaktree, restituibile in tre anni e, oltre a cedere Hakimi e Lukaku (che si mostrava ipocritamente legato all’Inter), è arrivata la mazzata di Eriksen. L’Inter ha fatto fronte a tutto questo mostrando come sia determinante avere una guida e soprattutto un’idea progettuale. Il 2021 ci lascia anche con la questione plusvalenze, un’indagine che cerca di far luce se ci sia un eventuale sistema messo in atto per falsare le comunicazioni sociali e dunque il bilancio. L’ultima regalo sgradito per il quale i primi a soffrire sono i tifosi.

Comunque vada a finire l’anno ha dimostrato che si può avere un alto livello di competitività grazie alla determinazione e alla lucidità di un progetto e non all’emotività del momento. Anche per questo l’Inter è e resta grande.