Dal sogno all’incubo.

Questo è lo stato d’animo che pervade il tifoso romanista al suo risveglio, il giorno dopo la durissima lezione subita dal Manchester United. Viene quasi da provare tenerezza ripensando al fermento e all’attesa che hanno fatto da prologo all’incontro, o a quell’ondata d’amore incondizionato che i tifosi, radunatisi davanti ai cancelli di Trigoria, hanno riversato sui loro beniamini in procinto di partire alla volta dell’Inghilterra. Che la sfida si presentasse ardua si sapeva ma, nonostante il percorso europeo compiuto sino a quel momento legittimasse qualche volo pindarico, i piedi sono sempre rimasti a terra. Consapevoli, dunque, di quanto bisognava spendere sul campo, nessuno avrebbe invece potuto, neppure lontanamente, prefigurarsi che la sfida sarebbe iniziata con un infortunio pesante, al quale ne sarebbero seguiti altri due a stretto giro di posta. Avete inteso bene, tre defezioni in 37 minuti di gioco, qualcosa che non si era mai verificato nella storia dell’Europa League.

Già al secondo minuto i primi brividi cominciano a correre lungo la schiena di Fonseca. Si fa male Veretout: noie ai flessori che costringono il francese, malgrado i lodevoli tentativi di proseguire, a lasciare il posto a Villar. Dal divano, fissando incredulo lo schermo, il tifoso romanista non può far altro che maledire la dea bendata ed esclamare: “Che sfiga!”. Come biasimarlo? Ha quasi dell’inverosimile la sistematicità con cui la sfortuna si accanisce sulla sua squadra del cuore nei frangenti più cruciali. Ciononostante, non si scoraggia, perché c’è tanto in ballo e i calciatori sembrano aver approcciato alla partita con le giuste motivazioni. È lecito, quindi, pensare che la squadra non si sfilaccerà, bensì si compatterà ulteriormente. Neppure il tempo di lasciarsi andare ad un tale slancio d’ottimismo, che – zac! – ecco un altro colpo “basso”, stavolta del nostro avversario: al 9’ segna Bruno Fernandes, che scavalca Pau Lopez con un tocco morbido realizzando il 25° gol stagionale.

Ora è chiaro, lampante: non è cominciata affatto bene per la Roma, sotto di un goal dopo soli 10 minuti e con un giocatore già registrato sul tabellino degli infortunati. Ma si sa, chi tifa Roma è abituato a non mollare, a stringere i denti, e allora ecco che si fa nuovamente appello all’ottimismo. Di tempo a disposizione per recuperare, d’altronde, ce n’è. All’improvviso, con una Roma sempre bene in partita, si nota un tocco di mano. “Sì, non può essere una svista, quello è proprio un tocco di mano di Pogba!”, pensa il tifoso sempre più incollato al divano, e mentre realizza che è tutto vero stropicciandosi gli occhi, l’arbitro gli viene in soccorso indicando il penalty. “È rigore, confermato dal Var, é rigore!” Generoso? Sacrosanto? Poco importa: Pellegrini è sul dischetto. Un bel respiro ed è gol!! Che bello tornare a respirare senza avvertire quella pressione sul petto. In parità si ricomincia tutto da capo, come se si fosse appena entrati in campo. L’ottimismo torna ad essere predominante nella testa del romanista.

Nel primo tempo la Roma fa tutto molto bene, senza accusare gli eventi sfortunati dei primi 10 minuti e trovando anche il gol del pareggio. Questo significa che tenendo i denti serrati si può puntare a qualcosa di più, approfittato di un MU scarsamente reattivo. Ma proprio quando tutto sembrava andare per il meglio, ecco giungere una nuova sciagura al 25’: il portiere Pau Lopez si fa male alla spalla parando un tiro di Pogba. Sembra di stare su “Scherzi a parte”. Entra Mirante e così a Fonseca resta a disposizione un solo slot per operare cambi nel resto del match (escluso l’intervallo). Nel tifoso torna a serpeggiare un po’ di quella sinistra apprensione dei primi minuti di gioco. Eppure, nonostante il secondo imprevisto, tutti restano concentrati, costruiscono il gioco, tengono palla. Manca forse di incisività Spinazzola, che dovrebbe farsi vedere di più dai compagni. Neanche a dirlo, come se avesse sentito il richiamo, che al 32’, si rende artefice di un’apertura fondamentale verso Mkhitaryan che taglia in due la difesa con un tocco in verticale per Pellegrini, il quale serve poi un assist al bacio per Edin Dzeko, che ribadisce in rete da pochi passi. È 1-2! Un tap-in “sporco”, in cui c’è anche un pizzico di fortuna, ma che nessuno si offenda, sulla bilancia di questa gara pesa sempre di più la sfortuna! Per il bosniaco è stato il 6º gol in carriera in quello stadio, proprio lì dove sette anni prima siglò una doppietta. Nel vederlo abbracciarsi con Pellegrini e compagni, il tifoso non può fa altro che sperare che sia di buon auspicio.

Ma sempre per non farsi mancare nulla, nemmeno sull’altalena dell’umore, al 37’ arriva il terzo cambio forzato: stavolta è Spinazzola ad abbandonare il campo. L’amarezza è tanta, ma mitigata dal risultato favorevole. Non bisogna demordere. Tra l’altro, detto sommessamente, fino a quel momento aveva fatto più paura pronunciare “Manchester United” che vederlo giocare. La Roma a quel punto non aveva più cambi ma solo una grande occasione: tenere vivo quel risultato che significava affrontare la partita di ritorno con molta più sicurezza. Ibanez attenta alle coronarie dei tifosi giallorossi con una sciagurata apertura in orizzontale nei minuti di recupero del primo tempo, ma si resiste e si va negli spogliatoi in vantaggio. Ciò che accade nella ripresa è quasi inenarrabile. Quello che sembrava un sogno, si trasforma nel peggiore degli incubi.

La Roma rientra in campo troppo compassata (non è la prima volta), il Manchester United, invece, con l’aria da killer. Neanche il tempo di sistemarsi in campo, che a mettere in pratica questa sensazione ci pensa Cavani, segnando il gol del 2-2 al terzo minuto. La Roma a quel punto è sulla graticola. Mantenere quel risultato, con un’avversaria così furente, è difficile ma non impossibile. Specie ripensando al buon primo tempo dei giallorossi. Il problema è che di quel primo tempo, nel secondo non si è visto più niente. La gioia si spegne subendo poi il terzo gol, sempre ad opera di  Cavani, e il quarto su calcio di rigore di Bruno Fernandes. Un rigore piuttosto generoso, con la palla che era già lontana quando il Matador cade, che indurrebbe a pensare ad una sorta di compensazione, visti i dubbi per quello concesso nel primo tempo alla Roma. La situazione è triste ma con una buona reazione si poteva fare ancora qualcosa. Peccato non si sia vista. L’amarezza a quel punto è l’unica cosa che riesce a provare il tifoso romanista.

Sarebbe stato bello poter dire di essersi fermati a quel risultato e invece no. 5-2 al ‘74 con Pogba, a spegnere definitivamente la luce, e poi quel 6-2 a farci sprofondare del tutto. Il secondo tempo è stato tutto dominato dal Manchester United, con la Roma che, inspiegabilmente, è rientrata male in un partita così importante, soprattutto se si pensa al preziosissimo vantaggio di realizzare due goal in trasferta. Subire 5 reti in un tempo di gioco è inaccettabile. In più, stavolta, rispetto ad altri tracolli (Manchester 7-1, Bayern 1-7), il divario in campo non era quello indicato dal punteggio finale. Era importante, fondamentale, “capire” la partita. Ripartendo da un 1-2 nel secondo tempo, la soluzione forse più saggia sarebbe stata quella del classico “muro” davanti alla porta? Forse sì e non sarebbe stata una vergogna. Che fosse una partita difficile, come detto all’inizio, si sapeva. Ma se con tutti gli imprevisti, con tutta la sfortuna del mondo, riesci comunque a chiudere il primo tempo in vantaggio di un gol, allora perché nel secondo di una partita tanto fondamentale rientrare in campo con quell’atteggiamento remissivo? Non sono forse tanto i sei goal subiti a far male, quanto come siano arrivati. Si spegne la tv, si sistemano divano e cuscini. Al ritorno sarà durissima, ma si tifa sempre.