Stasera si chiude il cerchio della prima giornata dell’Europeo. Scende in campo il girone di ferro dove l’Ungheria resta a guardare, bilancia di una differenza reti che potrebbe risultare decisiva per il prosieguo del cammino, è un fattore in tutto ciò, mentre Germania e Francia si giocheranno, verosimilmente, il primo posto: perché stasera, chi delle due dovesse vincere, ha già un piede e mezzo negli ottavi.

Fino ad ora qualche sorpresa c’è stata: la Slovacchia che non ti aspetti, con Skriniar degno erede dei migliori centravanti d’area di rigore, piega una Polonia che, dopo i fasti di poco tempo fa (ricordate? Outsider al mondiale 2018, sesta nel famoso ranking tanto da essere testa di serie in Russia con annessa delusione per l’eliminazione davvero inopinata, in un girone piuttosto semplice da passare, è rientrata nei ranghi, la Svezia capace di fermare la nazionale spagnola con Morata sugli scudi per un gol impossibile da sbagliare e, se vogliamo, una mezza sorpresa è il Galles di Robert Page, calciatore non divino ma buon commissario tecnico che, complice una piccola dose di fortuna, nel calcio spesso aiuta, recupera lo svantaggio contro la più accreditata Svizzera, domani nostro avversario nella corsa qualificazione, nonostante una rosa discreta, nulla più, e sempre domani si troverà di fronte quella Turchia che abbiamo strapazzato nella partita d’esordio e già all’ultima spiaggia. 

Buono il Belgio, Lukaku ormai sembra non fermarsi più, quando segni 62 reti in 94 partite non esistono critiche, hai a che fare con una macchina da gol capace, se non bastasse, di far segnare i compagni, aiutare la squadra, difendere il pallone, permettere alla difesa di rifiatare: insomma, poi ciascuno interpreta e vive il pallone come meglio crede ma, dal mio personalissimo punto di vista, criticare il ragazzone di Anversa oggi ha davvero poco ma poco ma pochissimo senso. Buona l’Inghilterra, non fatevi ingannare, l’uno a zero con cui ha battuto la Croazia è fasullo come una banconota da venticinque euro e buona l’Olanda, vittoriosa nel finale ma l’Ucraina di Sheva, clamoroso quando giocava e ottimo come selezionatore, è squadra ostica, rognosa, giovane senza nulla da perdere, capace di mettere in difficoltà chiunque: ah, peana per Lukaku ma peana anche per Wijnaldum, capitano coraggioso di una nazionale votata all’attacco, forse proprio per questo poco duttile in fase difensiva, del resto anche nella sua sfortunata esperienza italiana non è che l’Inter di Frank de Boer spiccasse nell’arte del difendere. 

Ma, e non poteva essere diversamente, questo Europeo è soprattutto e sarà ricordato come quello del malore di Christian Eriksen e della reazione dei suoi compagni di squadra. Soprattutto di uno di loro: Simon Kjaer, il capitano, l’uomo che ha, letteralmente e non tanto per dire, salvato la vita all’amico Christian. Lucido, pronto, calmo come soltanto i più forti sanno essere, ha fornito i primi soccorsi al centrocampista dell’Inter, ha sistemato i compagni intorno a Christian in modo tale da fare scudo a obiettivi talvolta troppo invasivi, è andato incontro a Sabrina, in lacrime a bordo campo, l’ha abbracciata come se tutti noi la stessimo abbracciando e, insieme a Schmeichel ha gestito il momento come solo un grande uomo di calcio, capitano davvero coraggioso, avrebbe saputo e potuto fare. Uomo dell’Europeo, senza se e senza ma.

Eriksen ora sta molto meglio (lo ha anche raccontato personalmente sui social), addirittura sembra che già in giornata potrebbe, usiamo il condizionale e parliamo di un condizionale rafforzato, tornare a casa, lasciando il Rigshospitalet, l’ospedale più attrezzato di Copenaghen. Questo è un primo passo. A ben vedere, anzi, è il passo più importante: il ritorno a casa, in famiglia, dalla sua compagna, dai figli, dagli amici di tutti i giorni.

Ci sarà tempo per recuperare l’atleta: forse tornerà all’agonismo, forse no, anche se le prime risultanze mostrerebbero un cauto, molto cauto, ottimismo. Ma, scusateci, oggi non è il principale argomento di dibattito. L’uomo Eriksen è tornato, strappato a un destino terribile. Godiamocelo questo momento di speranza, di gioia, di felicità: gli esami strumentali, la medicina, ci racconteranno il futuro calcistico del ragazzo. Quel che conta è poter vedere e rivedere il suo volto sorridente: per tutto il resto attendiamo. L’Inter ha già fatto sapere che la numero ventiquattro è lì che aspetta Christian: nel suo armadietto, nel suo club, nel suo stadio.