Fosse che fosse la fuga buona? Perché i tre punti acchiappati dall’Inter ieri a Torino valgono, minimo, il doppio. A dir poco. Partitaccia sporca, fastidiosa, rognosa, come del resto ai nerazzurri era già capitato in quel di Parma. E, proprio come nella città ducale, finisce due a uno con le coronarie dei tifosi interisti messe a dura prova da novanta minuti più recupero sempre sul filo del rasoio. La Beneamata non gioca un bel calcio, stenta, la sblocca col classico episodio – rigore procurato da Izzo senza un motivo apparente – subisce la rimonta in un corpo a corpo nella propria area di rigore più simile alla royal rumble che a un calcio d’angolo e la risolve con gol pazzesco di Lautaro Martinez, ventitré anni e un futuro già scritto tra i grandi campioni. Magari non fuoriclasse, ma grandi campioni senza ombra di dubbio.

A inseguire la truppa di Antonio Conte resta, dando per scontati i tre punti del recupero-pastrocchio con il Napoli, che tanto scontati non sono ma facciamo conto lo siano, la Juventus, la tanto bistrattata Juventus. A Cagliari i bianconeri dominano in lungo e in largo, annichilendo i rossoblù sardi con una partenza impressionate e tripletta di Cristiano Ronaldo nel volgere di mezz’ora. Al di là del successo indiscutibile ci sarà molto da discutere sulle decisioni arbitrali: non tanto di Calvarese, forse coperto si limita ad ammonire Cristiano per un intervento sguaiato su Cragno in uscita, intervento pericolosissimo pur se chiaramente involontario ma l’involontarietà acclarata non giustifica la semplice ammonizione, quanto del varista Chiffi il quale, per qualche ragione che spiegherà a Rizzoli, considera il piede altezza faccia del portoghese un semplice contatto di gioco.

Gli arbitri, ahimè, si ergono a protagonisti indesiderati della giornata numero ventisette. Non benissimo a Torino, male a Cagliari, altrettanto male a Milano dove Pasqua fischia sbagliando parecchio: all’appello mancano un cartellino rosso per Di Lorenzo, uno per Theo Hernandez e un rigore piuttosto evidente sempre ai danni di Theo, il cui errore è accentuare troppo la caduta. Però, se vai a rivedere l’episodio al VAR e non vedi il tocco di Bakayoko…

Il Milan, dimezzato dalle assenze, perde uno scontro diretto fondamentale in funzione tricolore: a meno nove dalla vetta e undici giornate al termine non sarebbe neppure impossibile l’eventuale rimonta, nel calcio abbiamo visto ben altro, ma è l’imprevedibilità rossonera a condannare, tra virgolette, il Diavolo. I ragazzi di Stefano Pioli passano con assoluta indifferenza da Spezia a Manchester e questo, in un percorso lungo e tortuoso come il campionato, non porta mai esiti favorevoli.

Intendiamoci: il Milan sta facendo una stagione pazzesca, oltre le reali possibilità, ma per vincere uno scudetto occorre acquisire quella mentalità che, attualmente, i rossoneri si stanno costruendo. Tornando alla partita Gattuso ottiene il massimo risultato giocando accorto, senza fronzoli, concreto. Oggi la Champions napoletana è a due punti, leggasi Atalanta, la corsa a un posto utile per l’Europa dei grandi appena cominciata. Dal Milan alla Lazio è un calderone che contiene tutte le squadre nel mezzo. Le due romane, coi biancazzurri che faticano oltre misura per domare un Crotone guerriero guidato dal redivivo Serse Cosmi – bestemmiare è sempre maleducato, stato laico o meno, caro Mister -, i giallorossi fermati a Parma dai ducali e dal signor Piccinini, restio a fischiare un calcio di rigore piuttosto evidente a favore della Roma e pronto a decretarne uno, come minimo dubbio, per i padroni di casa e l’Atalanta, che ci mette un tempo a inquadrare lo Spezia prima di chiudere la partita in due minuti, a inizio ripresa.

In coda, nel frattempo, continua la caduta senza controllo del Benevento, sconfitto pesantemente dalla Fiorentina in uno scontro salvezza prioritario per i sanniti, copia offuscata della squadra di un paio di mesi orsono. Come se aver raggiunto venticinque punti a inizio febbraio significasse, automaticamente, restare nella massima serie. Cagliari e Parma sono a un passo, serve agli uomini di Pippo Inzaghi e allo stesso Spezia una netta inversione di marcia: trovarsi nel calderone della zona pericolo, a oggi, è un attimo. Le altre, fatta eccezione per la Viola e il Genoa ancora sommariamente interessate dalla lotta per non retrocedere, vivono in un limbo di tranquilla serenità. A meno di inopinati stravolgimenti nelle prossime giornate di un campionato quanto mai vivace.