Non ci si abitua mai all’idea dell’assenza, al concetto di mancanza. Sia essa legata alla fisicità che al soggetto desiderato. La mancanza attraversa la vita di ogni uomo e nel nostro piccolo anche l’Inter in questo periodo esprime alcuni punti oscuri, che verranno sbrogliati in parte nel corso della ripartenza. E’ bello che si torni a giocare, ma infinitamente meno importante di ciò che ha in mente il club in termini progettuali. Si ignora quali siano i reali meccanismi del club. La lunga sosta forzata ha portato il calcio ad essere prima un’immagine sbiadita, poi vivida ma frustrata dalla mancanza di appoggi e certezze, persino sulla data di ripartenza.

A questo proposito l’Inter ha chiesto legittimamente di anticipare la partita di Coppa Italia col Napoli per un numero di impegni ravvicinati più elevato rispetto a qualsiasi altra squadra. Si poteva immaginare che nell’ottica della collaborazione questo non avrebbe rappresentato alcun problema, ma Juventus e Milan sembrano essersi rifiutate di invertire la data della semifinale di Coppa e Marotta anche in questo caso è stato ascoltato ma non accontentato. L’Inter non è ancora politicamente forte perché non ha una presidenza radicata nel territorio, pur avendo un amministratore delegato rispettato (Marotta), un direttore sportivo d’esperienza (Ausilio) e una proprietà munifica (Suning). La sensazione è che l’Inter non possa fare la voce grossa al pari delle sue competitor perché probabilmente Marotta da solo non basta se non c’è una presidenza inserita come quella di Agnelli e Lotito.

Lo dimostrano anche i pettegolezzi usciti la scorsa settimana, i quali andavano dai chili di troppo di Lukaku a Conte che non voleva ripartire prima con il Campionato a causa della scarsa forma del belga (!), dalla cessione svenduta come sempre meno probabile di Icardi al PSG alle voci di dimissioni di Marotta, pronto a tornare alla Juventus. Se l’assenza dai campi si associa ad un vuoto comunicativo, l’Inter sembra sempre disponibile a lasciar parlare di sé, senza aggiungere o replicare. Uno stile nobile in un mondo che di classe ne ha sempre meno e che riempie le caselle vuote con le “voci”. Una vecchia storia mai risolta se non quando c’era Mourinho, per il semplice fatto che era lui a dettare l’agenda delle chiacchiere sulla squadra. Lui decideva cosa doveva e cosa non si doveva dire attraverso dichiarazioni forti o persino eccentriche. L’Inter in questo lascia troppi spazi ancora oggi, al netto dell’indubbia capacità dei dirigenti.

Va inoltre compreso quale sia il vero percorso che vuole fare la società e quale può fare. Il fatto che la dirigenza abbia mantenuto la clausola rescissoria di Lautaro e Brozovic traduce inevitabilmente che l’Inter non può ancora fare la guerra ad armi pari con i grandi club. Non è ancora padrona del proprio destino, perché anche se è uscita dal “settlement agreement” non ha ancora uno stadio di proprietà, ha ricavi che sono cresciuti esponenzialmente ma non ancora al livello dei suoi veri competitor, i quali da anni viaggiano su onde di frequenza inarrivabili se non ci si garantisce una presenza fissa in Champions e non si ottengono ricavi dallo stadio. L’Inter sembra disposta a rinnovare il contratto a Lautaro arrivando a 6 milioni, quando il Barca in proiezione è disposto ad offrirne quasi il doppio.

Gli sforzi di Marotta e Zhang possono essere quello di presidiare con continuità il livello di società come Borussia Dortmund e Atletico Madrid ma, per arrivare a prendere Real, Barcellona, Bayern, le inglesi e la stessa Juventus, dovrà attendere ancora qualche anno. Questo non significa che l’Inter nei prossimi tre anni non possa aspirare a vincere almeno uno scudetto o fare un exploit in Champions, come fece il Tottenham lo scorso anno. Si tratterebbe comunque di un’impresa e quella nello sport ogni tanto è possibile, anche se guardando l’albo d’oro di Campionati e Champions League dovrebbe essere ormai chiaro che vincono le stesse squadre da ormai dieci anni. Quello che serve all’Inter (e che ha promesso Zhang) è far parte stabilmente dell’élite ma serve tempo, la stessa governance e uno zoccolo duro di giocatori senza rivoluzioni per qualche anno, nella speranza che l’Inter non si frantumi al suo interno al primo vento contrario.