Le grandi panchine italiane sono a posto per i prossimi anni. Certo, alla fine sono sempre e soltanto i risultati a fare la differenza, ma la tendenza è questa. Allegri si è impegnato con la Juve e ha firmato un quadriennale. Spalletti ha un biennale con il Napoli e un’opzione della stessa durata. Simone Inzaghi idem, due stagioni con l’Inter. Pioli sta facendo benissimo con il Milan e non dovrebbe essere un problema il prolungamento, pur essendoci un contratto in scadenza. Sarri ha aggiunto un’opzione che potrebbe fare diventare triennale il suo rapporto con la Lazio. Mourinho è il nuovo re di Roma giallorossa. Cosa vogliamo dire?

Che un grande allenatore dovrebbe aspettare prima di subentrare e magari non basterebbe. Se poi parlassimo di Antonio Conte, quasi tutte le strade sarebbero occupate e toglieremmo il quasi. Anche perché Conte all’Inter c’è stato, alla Juve sarebbe tornato ma la saracinesca di Andrea Agnelli sarà sempre abbassata, alla Roma aveva detto no e le altre soluzioni sono impraticabili. Dopo aver vinto lo scudetto alla corte di Zhang, l’aspirazione di Conte era quella di tagliare la corda. Se avessimo la possibilità di intervistarlo tre mesi dopo, gli faremmo una domanda secca: sei pentito di aver lasciato? E siamo convinti che nessun pentimento farebbe capolino nelle sue parole: gli avrebbero ceduto Hakimi e Lukaku, una squadra competitiva, ma – almeno per lui – meno forte di quella che aveva costruito, non avrebbe potuto accettarla. Conte è fatto così: quando capisce che il vento sta cambiando, taglia la corda ancor prima che siano gli altri a comunicarglielo. È accaduta la stessa cosa quando allenava la Juve, ai tempi del Chelsea, in Nazionale, all’Inter, sarà sempre così.

Ci sono due comuni denominatori che accompagnano l’esigente e ambizioso Antonio: una proprietà ricca e carta bianca sul mercato. Quando una delle due situazioni viene meno, lui saluta e se ne va. Magari ottenendo una ricca buonuscita, com’è accaduto con l’Inter, oppure andando per vie diverse nel momento in cui qualche crepa dovesse diventare pericolosissima (esattamente l’epilogo con il Chelsea). Ora lui è felice di aver preso l’anno sabbatico, lo farebbe durare anche sei mesi se ci fosse un’opportunità vera. Conte aveva avuto un mezzo dialogo con il Real, naufragato in fretta, e aveva chiesto talmente tanta autonomia a Levy – boss del Tottenham – che sarebbe stato impossibile ottenerla. E adesso? Ci sono diverse strade, quasi tutte – se non tutte – portano in Premier League.

Il Newcastle è stata fin qui una suggestione legata al non trascurabile collegamento che si fa in situazioni del genere: proprietà ricca di solito chiama Antonio Conte. Ci sta, ma serve il resto. Perché lui non vuole essere soltanto un allenatore ma anche un manager capace di incidere sulle scelte di mercato, altrimenti avrebbe un nome e un cognome diversi. Il Newcastle è una situazione assolutamente in divenire, da scoprire in vista della prossima stagione, cercando di capire il management con il rispetto che si deve a chi ha parlato fin qui esponendo piani e progetti. Conte sarebbe andato e andrebbe con Paratici perché lo conosce bene e si fida. Ma non c’erano le condizioni con il Tottenham.

Fateci caso, le sue non sono scelte casuali, è importante che qualcuno all’interno di un club possa essere una persona fidata. Aveva deciso di dire sì all’Inter perché esisteva da tempo un rapporto di profonda stima e rispetto con Beppe Marotta. E quest’ultimo lo ha tutelato nelle situazioni di mercato, mettendosi a disposizione anche in situazioni molto problematiche a livello di budget, come quella che conduceva a Romelu Lukaku. L’esborso era notevole, in condizioni di normalità sarebbe stato abbastanza complicato accontentare l’allenatore di riferimento. Ma Conte voleva soltanto lui e Marotta si è attivato per consegnarglielo senza alcun tipo di intoppo. Questo per dire, tornando all’eventuale opzione Newcastle, che non servirà dargli 15 o 20 milioni a stagione (se basteranno) ma bisognerà memorizzare anche il foglio con le richieste di mercato, almeno tre o quattro di assoluto spessore. E non escludiamo certo che queste condizioni possano verificarsi.

Tuttavia bisogna andare oltre perché ci sono progetti che non decollano ma che hanno una stabilità indiscutibile rispetto all’astro nascente Newcastle. Il riferimento è al Manchester United che avrebbe tutto per stupire, eppure ogni volta ci sono rovesci che sembrano scudisciate definitive. Sul banco degli imputati naturalmente Solskjaer che sarà stato una bandiera dei Red Devils ma non è così scontato che le bandiere siano assolutamente all’altezza quando vanno in panchina. Lo United sbanda, non si vede la mano dell’allenatore e Solskjaer non può essere certo definito una guida sicura. Anzi, l’esatto contrario. Eppure gli investimenti non sono mancati, il ritorno di Cristiano Ronaldo dopo quello di Cavani in attacco sono la prova autentica della volontà di alzare il tasso qualitativo. Ci sarebbe la volontà di prolungare il contratto in scadenza del corteggiatissimo Pogba, ma la domanda è sempre la stessa: siamo sicuri che qualsiasi sacrificio valga la pena in presenza di un allenatore insipido come Solskjaer? No che non siamo sicuri, al punto che in molti vedrebbero Antonio Conte come la guida sicura per la rivoluzione a Old Trafford. Non ha il plebiscito, per qualcuno sarebbe addirittura il meno indicato, ma un discreto plotoncino di estimatori. E anche per lui sarebbe il ritorno in Premier dalla migliore porta principale possibile. Per il momento sono tracce interessanti, appunti, sussurri, in attesa di qualche indizio vero (Newcastle compreso).