Di Alfredo Pedullà
23 Giugno 2020
Christian Eriksen si è preso l’Inter. In ritardo ma non certo per colpa sua. Un genietto che avrebbe dovuto giocare da subito, o da quasi subito, per mettere benzina nelle gambe, l’unico modo per entrare subito negli schemi. Antonio Conte è un perfezionista, ha voluto aspettare (forse troppo). E i maligni dicono che ha aspettato anche perché un po’ nervoso (eufemismo) per il mancato arrivato di Arturo Vidal. La storia è nota: don Antonio da Lecce aveva chiesto il famoso centrocampista strutturato fisicamente, capace di segnare cinque o sei gol da gennaio a giugno, eccellente negli inserimenti, e lo aveva individuato nel suo ex allievo ai tempi della Juve. Soltanto che l’Inter, giustamente, dopo averci provato, ha ritenuto opportuno non cedere alle richieste eccessive del Barcellona che voleva realizzare l’affare prendendo per la gola il club nerazzurro, sapendo che Vidal per Conte era molto più di una priorità. Quindi, nulla da fare, l’allenatore nervoso (gli capita spesso quando non acquistano i calciatori che chiede) e la quasi impossibilità di trovare un centrocampista con le stesse caratteristiche del cileno. Anche perché come Vidal ce ne sono pochi in giro per il pianeta. E quei pochi che ci sono, se ci sono, hanno una carta d’identità giovanissima e costano un occhio della testa. A gennaio sarebbe stato impossibile, per tanti motivi, l’Inter decise di non approfondire.
Poi, come se fosse un segnale del destino, la possibilità di anticipare una grande operazione a parametro zero programmata per l’estate. Signori e signori, ecco a voi Christian Eriksen il genietto danese in rotta di collisione con il Tottenham, un autentico affare per chiunque l’avesse preso. Eriksen è il classico centrocampista offensivo molto tecnico e molto universale che può giocare in più ruoli ma che da trequartista riesce a garantire un rendimento straordinario. Soprattutto in una squadra già forte, il segreto di Eriksen è quello di aggiungere spruzzate di panna dolcissima su una torta già molto buona. L’Inter stava lavorando per l’estate, con fondate speranze di realizzare un altro colpo a zero (quindi senza il pagamento del cartellino), da annunciare magari in questi giorni molto tormentati. All’improvviso, la scintilla con tanto di domanda: perché non anticipare l’arrivo del genietto danese per evitare eventuali aste, sapendo che a zero euro per il cartellino ci sarebbe stata la possibilità di un rilancio da parte delle più importanti big d’Europa?. Detto, fatto. Christian aveva dato la disponibilità per l’estate ma il Tottenham avrebbe fatto un bagno di sangue nel ricavare proprio zero euro dall’addio di un campione consacrato che aveva ormai deciso di lasciare Londra (malgrado i tentativi di Mourinho) per cimentarsi in una nuova esperienza.
Chi conosce Conte sa quanto sia perfezionista. Tralasciando i discorsi da bar, ovvero l’inconscia e molto intima ribellione per non aver avuto il suo pupillo Vidal, la sua scelta è stata quella di inserire Eriksen a fuoco lento. Forse un errore, con il senno di prima e non soltanto di poi, per il motivo che abbiamo spiegato. Ovvero, uno come Eriksen ha bisogno di essere acceso subito, a costo di averlo al 60 per cento della condizione, proprio per metterlo nella condizione di fare benzina in campo e non partendo dalla panchina. Le prime settimane di Inter sono state un po’ così: impiego con il contagocce, i discorsi tattici (meglio in un 3-5-2 oppure all’interno di un 3-4-1-2 alle spalle di due punte?), il ritardo programmato. Perché poi, diciamolo, Eriksen da trequartista è una delizia, semplicemente per il terrore che incute in qualsiasi allenatore avversario (come prenderlo, come cercare di controllarlo, una pedina da sacrificare e da sprecare soltanto per andare sulle sue tracce e limitarlo) e per la sua predisposizione a servire l’assist. Senza trascurare un altro, fondamentale, aspetto: Christian ha il gol nella testa e nelle gambe, l’intuizione improvvisa, il lampo da 25 metri, la rapidità e la mira, tutte qualità che appartengono – da sempre – al suo repertorio.
Conte si è arrabbiato, non poco, quando – dopo l’eliminazione in Coppa Italia a Napoli – gli avevano fatto notare che Eriksen in un 3-5-2 è sprecato. “Come 3-5-2? ha giocato da trequartista, dentro un 3-4-1-2. Avrò visto un’altra partita, non so, oppure l’avete vista voi…”, sbottò con il risentimento verso chi non aveva notato e apprezzato il nuovo corso, svolta tattica compresa. In effetti, la lunga e forzata sosta è servita per lavorarci tanto e per arrivare alla soluzione – provata e riprovata – che un perfezionista come Conte pretende. La bellissima prestazione contro la Samp è stata un fantastico manifesto: Eriksen tra la linee, libero di agire, capace di assistere Lukaku con una perla in occasione del primo gol, capace di andare al tiro senza soluzione di continuità ma anche di sfondare lateralmente nel segno dell’imprevedibilità, come in occasione di quell’inserimento dalle parti di Audero con Lukaku incapace di scartare un cioccolatino di assist a porta vuota. L’Inter ora può divertirsi e ha ragione l’allenatore quando dice che sei punti di ritardo, con ben dodici partite da giocare, devono essere un trampolino per provare a vincerle tutte. Poi, se la Juve dimostrerà di essere più forte, amen. Se la Lazio risulterà irraggiungibile, amen bis. Ma l’Eriksen dentro gli schemi, come aveva programmato il capo della panchina e magari con un leggero ritardo sulla tabella di marcia, è uno spot di totale competitività. Anche perché l’Inter parte da una base imprescindibile, ovvero l’intesa perfetta tra Lukaku e Lautaro, evidenziata nel corso dei primi quattro mesi di stagione, e tornata abbondantemente di moda ora che l’argentino ha messo in stand-by (per sempre o momentaneamente lo vedremo) la tentazione di raggiungere il suo idolo Messi a Barcellona.
C’è un altro aspetto che va considerato. Questi mesi consentiranno agli uomini mercato nerazzurri di lavorare partendo dalle abbondanti certezze che hanno. Se restasse Lautaro con Lukaku sarebbe il massimo, per i motivi analizzati. Eriksen alle spalle è l’assegno circolare da riempire in ogni partita, con l’ulteriore particolare che questo supplemento di campionato ti consentirà di affinare l’intesa in modo da partire con una base certa per la prossima stagione. E il mercato diventerà meno complicato perché si tratterà di andare alla ricerca di quei due o tre tasselli necessari per rendere l’Inter iper competitiva, stavolta senza se e senza ma. Sdoganato da inutili mansioni a centrocampo, proprio in quel settore l’Inter potrà cercare il centrocampista alla Tonali oppure alla chissà chi per perfezionare l’assortimento in nome della qualità. Poi bisognerà andare alla ricerca di uno o due esterni difensivi, soprattutto a sinistra dove l’ottimo Young non è più un ragazzino e avrà bisogno ogni tanto di rifiatare. La difesa è a posto così, al massimo servirà un ricambio generazionale (Kumbulla è il primo nome, ben memorizzato dallo scorso gennaio) se – com’è possibile – Godin dovesse chiudere la sua esperienza milanese dopo una sola stagione. E poi tutto il resto: capire se si può lavorare per un altro anno di Sanchez in nerazzurro (Alexis ha avuto troppi contrattempi fisici ma meriterebbe di riprovarci), magari aggiungendo un altro attaccante. Che poi sarebbero due se Esposito andasse a giocare oppure se il tormentone Lautaro dovesse improvvisamente tornare di moda.
Ora che Eriksen non è più il genietto incompreso, ora che si è preso l’Inter e non la mollerà più, è giusto cancellare le polemiche e le incomprensioni. Magari i minimi ritardi dovuti alla testardaggine di Conte che vuole provare e riprovare ai box prima di dire “ok, il bolide è pronto e può sfrecciare in autostrada”. Noi pensiamo che certi bolidi siano pronti a prescindere, che ci siano “piloti” nati per guidare anche se sono reduci da qualche mese di stand-by. Ma Conte è unico proprio perché ha i suoi metodi, magari qualche volta opinabili ma che in passato hanno anche permesso e consentito di riempire la bacheca di trofei. Magari non sbaglia chi sostiene che un grande allenatore come lui diventa insopportabile dal terzo anno in poi proprio perché continua a pretendere sempre più e il rischio concreto è che non lo seguano più come prima. In fondo, sotto lo stesso tetto si trovano due perfezionisti. Conte che ha scelto l’Inter non per incassare un mega bonifico mensile ma per coniugare il verbo “vincere”, magari abbattendo e riducendo al minimo i famosi step che molto spesso lui cita per trovare alibi. L’altro perfezionista è Christian Eriksen, il sogno di mezzo inverno che i tifosi nerazzurri alimentavano con il terrore che qualcuno potesse scendere in campo e giocare di anticipo. Ora che i due perfezionisti sono sotto lo stesso tetto e parlano la stessa lingua, ci viene in mente l’affresco pubblicato dall’Inter il giorno dell’annuncio: il genietto danese all’interno della Scala come un gran tenore pronto a regalare concerti di primissima qualità. Era quanto chiedeva, con insistenza, l’Inter: sarà un gran successo. Quel mix di gol, assist, invenzioni e fantasia che aiuterà, sempre, a vivere meglio.
Giornalista e opinionista sportivo, grande esperto di calciomercato in Italia. "È un privilegio quando passione e lavoro coincidono".