Lautaro Martinez è già un giocatore del Barcellona. A leggere le cronache italiane e spagnole ci si dovrebbe stupire di vedere l’argentino ancora qui a Milano alla ripresa di una eventuale stagione agonistica.

Si era partiti con l’endorsement di Messi verso l’attaccante nerazzurro, poi all’eventualità di una trattativa, evocata a febbraio in tempi di pre-emergenza.
Durante questa sosta forzata gli enormi disagi di ogni club del mondo, dovuti all’impossibilità di incassare e dunque pagare gli stipendi, sembravano aver allontanato la possibilità di grandi cessioni e acquisti nel prossimo mercato.
Marotta aveva annunciato che la prossima campagna acquisti, a livello mondiale, sarebbe stata basata solo su scambi e prestiti, magari qualche ingaggio a prezzi bassi. Improvvisamente, sistemata la questione stipendi, con tanto di polemiche in seno al club catalano, la possibilità che l’Inter potesse perdere il giocatore da improbabile è diventata possibile e alla fine persino scontata.

In questo periodo l’altalena degli umori pende perciò verso un pessimismo consolidato sulla reale possibilità di tenerlo in rosa da qui ai prossimi anni e, se fosse confermata la tendenza che i giornali spagnoli rilanciano come un acquisto del Barcellona ormai ai dettagli, non mi ritroverei d’accordo con la linea prospettata. Anche se si riuscissero a far “fruttare” i soldi che arriverebbero.
Uso un condizionale perpetuo perché ad aprile appena iniziato, in una fase storica surreale, non è giunta alcuna dichiarazione di smentita da parte di Marotta e Ausilio, anzi, al contrario, i primi nomi dei sostituti di Lautaro.
L’ultimo in ordine di tempo è quello di Timo Werner ma, al netto della verità delle cose, la storia aiuta a comprendere meglio il presente.

Raramente l’Inter nella sua storia ha avuto la forza o la capacità di conservare e trattenere le sue bandiere o in alcuni casi i giocatori più promettenti.
Lautaro Martinez appartiene in parte a queste categorie: ha smesso da tempo di essere una promessa ma non è ancora una bandiera.
L’Inter fin dai tempi di Meazza, ceduto al Milan (all’epoca denominato Milano) dopo un infortunio, talvolta si sbarazza dei suoi totem con una disinvoltura insopportabile.
Penso anche a Boninsegna, ceduto alla Juventus, con il giocatore incredulo per la scelta, a Ronaldo venduto al Real Madrid, al cattivo rapporto tra Moratti e un Bergomi che non è più stato reintegrato nella società, mentre per Icardi si è creata una situazione complessa di cui il club non sembra avere colpe.
L’Inter spesso fatica a mantenere un rapporto prolungato con giocatori, i quali restano punti di riferimento per un periodo delimitato o vengono ceduti per una cronica ambiguità nel riuscire a valorizzarne il proprio potenziale.
Parlo di un club storicamente grande, non uno costretto a cedere i suoi pezzi pregiati per mancanza di liquidità, come è accaduto tra il 2012 e il 2018.

La raffigurazione vivente dell’orgoglio di un club come l’Inter, che aspira a diventare stabilmente uno dei club più importanti e ricchi al mondo, avrebbe in Lautaro il simbolo di una rinascita che lentamente ma inesorabilmente sta portando il club a raggiungere un livello ancora lontano.
Non è perciò solo una questione di convenienza economica, ovvero la possibilità di migliorare la rosa con i soldi presi dalla cessione, ma un elemento culturale, un senso di appartenenza che da anni l’Inter fatica a trovare.
Se si continua a cedere il meglio, con la giustificazione che è il giocatore a volersene andare, si trasmette l’idea di una società forte ma non fortissima, solida, ma non al livello dei suoi competitor. Quelli che cedono i giocatori forti solo per una volontà tecnica.
Non è il caso di Lautaro Martinez.
Se l’Inter ha davvero intenzione di lasciar andare l’argentino rifletta anche su questo, più che su un vantaggio tutto da confermare.