Anche quest’anno l’Inter propone un’appassionante lettura della sua esistenza, con relative spiegazioni di ciò che non funziona, disattendendo le attese e le prospettive. L’Inter di oggi non è quella che ci si aspettava, siamo tutti d’accordo, ma da tanti anni ci sono situazioni che si ripetono ciclicamente e inducono a credere che non si tratti di contingenze ma di errori concettuali della società, nonostante il lavoro fatto in diversi settori (marketing, bilancio, crescita tecnica complessiva) negli ultimi due anni sia stato ottimo.

L’Inter vista in campo col Borussia Mönchengladbach è figlia di problemi che sono state in parte analizzati e in parte scientemente ignorati dall’opinione pubblica. Ci sono responsabilità nerazzurre da una parte ed estranee al controllo di qualunque società dall’altra, di cui l’Inter non ha alcuna colpa.

Le cinque partite ufficiali dell’Inter dicono che l’Inter ha un grosso problema di equilibrio, causato da fattori che non possono riguardare la sola anomala cessione di Godin, a favore di Kolarov, ma anche movimenti della squadra che non sembrano essere parenti di quella vista in campo fino ad agosto.

La difesa prende molti, troppi gol, scende in campo impaurita, Handanovic non sembra essere tranquillo, Kolarov è stato a disagio in tre partite ma ieri non ha sfigurato, Skriniar è stato incresciosamente messo sul mercato e poi tenuto, per riscoprire che la squadra ha maledettamente bisogno di uno come lui. Si è capito che Darmian è tutt’altro che un modesto giocatore, pur senza essere Maicon e che a centrocampo la manovra è ingolfata. Barella generoso ma poco lucido, Vidal in Champions è stato perfetto in copertura ma impacciato nella proposizione, nella ripresa ha sbagliato tutto causando il rigore e sbagliando movimento nel gol del raddoppio di Hofmann. Troppo per non pensare che ci sia del disagio tra i giocatori, causato da parecchi fattori.

Il modulo 3-5-2 è lo stesso della stagione precedente e se indispone molti, compreso me, va fatto notare che è lo stesso con cui l’Inter ha comunque trovato una finale di Europa League e un secondo posto in Campionato, battendo l’imbattibile Atalanta.

Con i tedeschi si è visto più chiaramente come il baricentro della squadra fosse più basso e l’uscita dalla propria area particolarmente complessa. Le palle disperate date a Lukaku sono il risultato di un giro palla intimidito di una squadra bassa che, di fronte al pressing avversario, qualunque esso sia, va in difficoltà. Il lancio lungo è l’unica opzione perché l’Inter non sa giocare a ritmi bassi, non ha palleggiatori, ad eccezione di Eriksen e di Hakimi che comunque è soprattutto rapido e sarà comunque assente per diverse partite. Perisic è parso troppo spesso distante dai reparti, mai protagonista, mentre Eriksen ha mostrato come si possa fare del pallone qualcosa di meno ordinario di quanto non sia il passaggio indietro o in orizzontale. I movimenti che chiedeva ai compagni venivano eseguiti solo in parte e la vivacità sulla fascia veniva garantita dal solo Darmian, mentre gli altri restavano bloccati, preoccupati più di non sbagliare.

L’analisi però è soprattutto legata all’impaccio inevitabile di una squadra che ha finito la stagione mentre gli altri la iniziavano, ha fatto due amichevoli e una preparazione monca per allinearsi al resto delle squadre. L’inizio del Campionato ha registrato una morfologia imperfetta del gioco, comunque superata grazie alla ricchezza della rosa ma poi il Covid ha spazzato via le alternative. Fuori sei giocatori in un colpo solo, in quarantena gli altri, in Nazionale il resto della squadra, niente allenamenti collettivi, nessuna preparazione al derby e sconfitta evitabile ma prevedibile.

Col Borussia la rinuncia ad Hakimi per Covid all’ultimo momento ma stampa e tifosi, compresi molti interisti ascrivono questo al vittimismo, alle “scuse”. Sono repliche asciutte di un mondo che è in guerra contro un virus e rifiuta di accettare una realtà attualmente distorta. Ci sono squadre che sono state toccate di più e basterebbe dare un’occhiata ai risultati di molte partite, anche in campo internazionale, per rendersene conto. L’importante per l’Inter è che le positività non aumentino visto che Hakimi si è allenato e ha vissuto con il resto della squadra per quattro giorni.