Il crac è arrivato, puntuale come una tassa, identico nelle modalità, rigido come la colpa che Antonio Conte non accetta, ricusa e respinge, giocando a tennis con le responsabilità che gli vengono lanciate. Lui le rimanda dall’altra parte sotto forma di peccati distribuiti al mondo, senza accettarne nemmeno una.

La colpa è dei giocatori che non hanno saputo fare gol allo Shakhtar, degli arbitri che non hanno rispettato l’Inter, dei giornalisti che sono incompetenti o di quelli che “devono posare il fiasco”, degli ex compagni di squadra come Marocchi e un allenatore come Fabio Capello, ritenuti molesti, la colpa è persino degli avversari (ipse dixit) che, pensa un po’, hanno cambiato il loro modo di giocare per affrontare la sua squadra.

L’insofferenza di Conte messa in scena dopo la partita, se possibile, è stata più sgradevole dell’andamento e la modalità con la quale questa è stata disputata è uno specchio fedele di come il tecnico pensa e trasmette le sue idee ai giocatori.

Una volta può accadere ma in ogni occasione Conte resta intollerante verso ogni domanda e vive la critica come un’aggressione e una mancanza di rispetto, rendendo impossibile il contraddittorio (nel quale non crede) e la crescita, se non attraverso la dedizione assoluta alle sue idee, facendosi forza del suo curriculum vincente. Nella vita però si sbaglia se si crede che questa sia un “centro di gravità permanente che non fa cambiare idea sulle cose e sulla gente”.

L’Inter è uscita per tre anni consecutivi, di cui due sotto la sua gestione, sbagliando clamorosamente le partite decisive contro avversari più deboli, affrontati tatticamente e mentalmente in modo inadeguato. La prima volta con Spalletti contro il PSV ultimo nel girone, le altre due con Conte contro il Barcellona B e uno Shakhtar con diverse assenze, in tutte e tre le occasioni a San Siro, giocando con paura o, come mercoledì sera, nel rettangolino del prato assegnato da Conte ai suoi giocatori.

Conte in un anno e mezzo ha rotto con i dirigenti, si è fatto fare una campagna acquisti per vincere nell’immediato e sta collezionando fallimenti in ogni partita decisiva. Ha sbagliato la partita di ritorno col Borussia Dortmund, quella col Barcellona, la finale col Siviglia, gli scontri diretti con Lazio e Juventus, il derby di questa stagione, la doppia sfida col Real Madrid e quella con lo Shakhtar. Parliamo di nove partite, non di un paio e in tutte le occasioni l’Inter ha ripetuto lo stesso spartito. L’ennesima uscita ai gironi per il club è un danno economico importante, così come per la sua immagine, ma non basta.

Conte ha bullizzato Eriksen nelle ultime settimane, lamentando colpe indefinite, rinnegando un investimento importante della società e schierandolo provocatoriamente sempre negli ultimi tre o cinque minuti. Quando il danese è entrato contro gli ucraini in quei cinque minuti ha fatto più di molti suoi compagni e per poco non segnava il gol che avrebbe cambiato la storia.

La responsabilità della sua imminente masochistica cessione è anche della società che accetta tutto, non interviene più, se non per assecondare il tecnico in tutte le sue scelte. Altri prima di lui, per molto meno, erano stati esonerati ma l’Inter non può permettersi di farlo e comunque è una scelta che non paga.

Se la squadra è con Conte come è parso comunque nelle ultime settimane, al netto delle colpe di allenatore e giocatori, può comunque ancora vincere lo scudetto e la Coppa Italia, perché avere delle colpe importanti non significa essere incapaci.

Ci saranno altri scontri diretti che probabilmente l’Inter continuerà a fallire ma per fortuna di Conte il Campionato si vince battendo il maggior numero di squadre, non solo battendo le rivali più importanti.