La seconda stagione di Conte sta portando l’Inter alla bancarotta sportiva ed economica. I danni sono ingenti già ora, ad un terzo della stagione, con un bilancio che in tempi normali e senza una crisi globale, indurrebbe qualunque club a esonerare il tecnico. Conte resta un allenatore importante ma i dati, ancora più delle analisi soggettive, aiutano a capire meglio la portata del suo fallimento, che fa rima con quello della società.

In un anno e mezzo, al netto dei problemi che tutti hanno avuto, l’allenatore ha fatto giocare bene la squadra i primi 60 giorni e l’ultimo mese e mezzo. Nel mezzo la squadra, allestita con un potenziale che gli altri allenatori del passato non avevano mai avuto e con una autonomia decisionale decisamente superiore, ha abbassato decisamente il suo rendimento.

Conte ha raggiunto il secondo posto a campionato deciso e la finale di Europa League, perdendola tatticamente. Ha ingaggiato una battaglia personale contro tutta la dirigenza nerazzurra e non si è dimesso, sapendo che non lo potevano esonerare per via del suo ingaggio astronomico. Dopo Villa Bellini e l’incontro privato con Zhang in estate, non ha quasi mai aperto bocca, anche quando doveva, ha cambiato radicalmente atteggiamento davanti ai microfoni, trasmettendo distacco e insofferenza.

Nessun problema se fosse arrivata la crescita, invece, dopo le prime due illusorie vittorie con Fiorentina e Benevento, la sua squadra ha infilato un tunnel sempre più buio e stretto, punteggiato da partite banali e prive di emozione. I risultati sono andati scadendo e gli equilibri sono saltati. La società ha fatto di tutto per accontentarlo, sconfessando gli acquisti di prospettiva come Tonali e Kumbulla e puntando su Vidal e Kolarov (Hakimi era già stato preso da mesi).

L’Inter gioca un calcio stanco e improduttivo, privo di energia ma col Torino e il Real Madrid è andata giù in avvitamento, perché tutta la squadra non ha corso, non ha pressato, non aveva quasi stimoli. Col Torino ha avuto un guizzo ed è bastato, col Real ha passeggiato e si è lasciata umiliare senza opporre resistenza, denunciando un nervosismo proprio da Vidal, l’uomo di Conte che sta tradendo più di tutti. Proprio Conte ha perso sistematicamente tutte le partite che contano, senza soluzione di continuità, dal Borussia Dortmund al Barcellona, dalla Lazio alla Juventus, dal Siviglia al derby di quest’anno, fino ad arrivare al Real all’andata e pure al ritorno.

Il tecnico ha preso di mira Eriksen e lo ha trattato peggio di un giocatore della primavera, facendolo entrare 12 volte negli ultimi cinque minuti, l’ultima ancora più plateale col Real, dopo essere riuscito a metterlo sul mercato e distrutto un valore tecnico su cui si era investito, in soli 9 mesi, riuscendo pure a trovare la sponda di molti tifosi, persuasi che il danese sia un giocatore inadeguato, mentre al suo posto gioca Gagliardini. Una follia.

Ora l’Inter è quinta in Campionato (e sabato va a casa del Sassuolo secondo in classifica), ultima nel girone di Champions, praticamente eliminata per la terza stagione consecutiva, di cui due sotto la gestione Conte. A chi gli fa notare che potrebbe essere un problema di modulo, di testa o altro, lui risponde nervosamente dando a tutti dei rimbambiti, salvo quando glielo ha fatto notare Capello e lui non ha osato replicare.

Per motivazioni che non conosciamo non sembra lucido e sta trascinando con sé la squadra senza l’ombra di un dubbio: dalle sue dichiarazioni è evidente che la colpa sia dei giocatori, della stampa, degli arbitri e persino del fato, di tutti tranne che sua. Questo genere di situazioni all’Inter, negli ultimi anni, si sono ripetute con variazioni sul tema, troppo frequentemente. La ragione di questo è l’assenza di una cultura societaria di riferimento.

L’Inter ha una proprietà giovane e distante che sta facendo un lavoro eccellente dal punto di vista dei ricavi e del marketing ma non conosce il calcio italiano e continua a non conoscerlo, così prima ha fatto l’errore di affidarsi a Kia Joorabchian, poi non avendo una filosofia sportiva, ha pensato di introdurla attraverso uomini che avevano contribuito a fare le fortune della Juventus.

Ma la società torinese ha un suo metodo di lavoro che nasce da più di un secolo di un’unica proprietà e riesce e far lavorare bene quasi sempre gli uomini che collaborano con lei. L’Inter aveva una cultura diversa e ora negli ultimi anni si affida proprio a quegli uomini abbandonandosi a loro e diventando l’Inter di Mazzarri, Spalletti, Mancini ma anche di Marotta.

Il calcio è cambiato profondamente in questi dieci anni ed è possibile che il metodo Conte non sia efficace ovunque, ha bisogno di un aggiornamento che nasce dall’umiltà. I vincenti che fanno la differenza da soli sono ormai finiti.

Guardiola, Klopp, Ancelotti, Mourinho, per citarne alcuni, hanno bisogno di una società con una precisa filosofia. È da troppi anni che l’Inter passa di mano in mano a uomini che hanno troppo da organizzare e vanno in esaurimento, perdendo di vista le proprie qualità. Sta accadendo anche a Conte che, nel presente, è il principale artefice dei problemi nerazzurri ma se la società non adotterà una sua cultura la storia tenderà a ripetersi all’infinito.