Ho deciso: firmo per il pari.
Non perché non abbia fiducia nella Juve o perché sopravvaluti la Dinamo Kiev: il primo obiettivo stagionale, però, è passare il girone di Champions e la partita più importante del girone è presumibilmente questa. Il match in casa della squadra di terza fascia. Ci arriviamo con un allenatore nuovo in tutti i sensi, senza aver disputato amichevoli precampionato, con le assenze di Cristiano Ronaldo, de Ligt, Alex Sandro, più Dybala ancora in panchina.
Un pareggio, fidatevi, non sarebbe da buttare.

Pirlo, in conferenza, fa capire che non la pensa come me: sono partite da vincere, sappiamo quello che dobbiamo fare.

Non è una frase fatta, così tanto per dire. Lo scopriamo già nei primi minuti, perché la Juve ha l’aria di chi crede seriamente alle parole del mister. È aggressiva, recupera palla, non concede spazi e occasioni. Chiesa punta l’avversario, alcune finte, tira di sinistro e gran parata del portiere. Su un calcio d’angolo ha una buona chance Chiellini, che poi ci spaventa perché si tocca la coscia ed esce. Ancora Chiesa da sinistra, pallone largo. Ramsey fa una  gran giocata, si libera di un avversario, va sul fondo e la mette al centro per Kulusevski, che fa un gran colpo di tacco al volo, respinto. La Dinamo, in tutto questo, si fa vedere con un imbarazzante tiro da metà campo.
Il primo tempo finisce zero a zero ed è l’unica notizia negativa di questo inizio, perché magari nel secondo tempo cresceranno ed è un peccato non essere in vantaggio.
Nella ripresa, dopo qualche minuto, Chiesa salta l’uomo, passa rasoterra a Ramsey, che è coperto e libera di tacco Kulusevski: lo svedese tira e, sulla respinta del portiere, irrompe Alvaro Morata, che riprende da dove ha lasciato, dal gol in Champions ogni volta che si apre un mezzo spiraglio.
Non ci fermiamo, è ancora Juve e raddoppia ancora l’attaccante spagnolo su splendido cross di Cuadrado. Gli ucraini ci provano, nel finale prendono un po’ di coraggio ma finisce così, con una vittoria perfetta, per atteggiamento e risultato.

La Juve, al primo impegno già quasi decisivo, se ne frega delle assenze, del precampionato durato una sola amichevole con il Novara, della discontinuità vista contro Roma e Crotone: va a Kiev per imporre la partita dal primo minuto, è ordinata, rapida, non prevedibile e vince senza mai soffrire. Tre punti alla prima trasferta di Champions: alla Juventus c’erano riusciti solo Lippi e Capello, prima di Pirlo.

E so perfettamente che la Dinamo Kiev è stata davvero deludente, mai aggressiva e pericolosa, quindi questa rischia di essere un’illusione; che con il Verona sarà più dura, che in campionato alcune squadre vanno già molto forti e perdere altri punti potrebbe costarci caro; che Chiellini ha trentasei anni e purtroppo non sapremo più con certezza se sarà totalmente a disposizione o dovremo centellinarne l’utilizzo; che Chiesa deve solo imparare ad alzare la testa un po’ di più: non sarà poco ma neanche impossibile; che Demiral è forte ma deve controllarsi negli interventi, perché se resto in dieci per una follia a ottanta metri dalla nostra porta spacco il televisore; che Dybala deve crescere, trovare la giusta collocazione e tornare decisivo come l’anno scorso; che mercoledì affronteremo il Barcellona, ben più pronto di noi,  probabilmente ancora senza Cristiano.

Ma so anche che ieri ho rivisto Morata, l’uomo che qualche anno fa in Champions segnava sempre, e l’ho visto tornare, combattere, subire falli e segnare appena possibile, di piede e di testa.