La cessione di Hakimi è appena avvenuta, tra il disincanto generale, quel senso di ineluttabilità e impotenza che stanno caratterizzando il pensiero dei tifosi, reso cinico dalle circostanze, la maggior parte dei quali si è adeguata alla nuova dimensione del club, confidando nelle capacità taumaturgiche di Beppe Marotta, costretto a lavorare senza soldi e disponibile ad ascoltare eventuali offerte importanti per ogni singolo giocatore.

Società che siano in grado di offrire una cifra importante ce ne sono davvero poche ma una di queste ha appena portato via Hakimi, ad una cifra nemmeno troppo alta.
Servono soldi, serve fare cassa” è il nuovo mantra che spiega tutto e non spiega niente, in un contesto generale in cui in Italia tutti i club lavorano al risparmio, creando un cuscinetto morbido tra la frustrazione di non poter aspirare alla grandezza assoluta o a mantenere lo status quo, e quella di vedere anche gli altri col medesimo problema.

In Europa è però diverso e la forbice tra noi e le nuove ricche va allargandosi, senza che nessuno spieghi ed indichi la via d’uscita per rimontare e tornare ad essere protagonisti in Champions ed Europa League.
Quasi ogni settimana batto il tasto su una vendita dei diritti televisivi della serie A al livello della Premier League, su una politica strategica, lungimirante, coraggiosa che rilanci la serie A, sulla necessità di stravolgere i paradigmi della Uefa che hanno portato ad un calcio elitario, ma è altrettanto evidente che interessi relativamente e a prevalere nel dibattito resta il calcio giocato e tutte le tematiche ad essa correlate.

Perciò se parliamo di questo fa male vedere un’Inter che la prossima stagione, per motivi diversi, non avrà due giocatori tanto entusiasmanti.

Marotta e Ausilio sono stati magnifici nel trovare una soluzione a parametro zero con Calhanoglu ma il punto è un altro. Il gioco del calcio è fatto di fantasia, entusiasmo, sogno e appartenenza.
L’orgoglio per lo scudetto appena vinto non lo toglie nessuno, è un certificato di appartenenza ai grandi di questo sport. Quello che è inaccettabile mentalmente è vedere da diversi anni giocatori a cui non ci si può legare troppo perché potrebbero essere ceduti, allenatori che restano troppo poco e progetti che, quando fioriscono, l’anno dopo evaporano in nome della revisione di spesa. È successo nel 2010, sta accadendo oggi. Razionalmente tutto è spiegabile perché le scelte dolorose come quelle di cedere uno o due titolari sono necessarie ma se tutto fosse solo raziocinio non saremmo umani.

Fa male dunque che l’Inter da 11 anni non trovi pace, fa male che nessuna proprietà riesca ad uscire dal debito e, quando hai l’impressione che ci riesca, si scopre che i problemi li ha anche lei (e da prima che arrivasse il covid), fa male entusiasmarsi al miglior esterno in circolazione, da un solo anno in nerazzurro, e vederlo andare via per una cifra nemmeno esagerata, fa male sapere di non poter più vedere Eriksen giocare a calcio con l’Inter e disegnare calcio con quell’abilità che solo più tardi tutti i tifosi hanno imparato ad apprezzare. Fa male che anche Conte se ne sia andato via per restare fermo un anno.

Più ci penso e meno apprezzo la scelta di un allenatore che con un anno di contratto da rispettare, alla cifra record di 13 milioni, in piena era covid, con una crisi generale, non accetta l’eventuale spalmatura del contratto, si prende la buona uscita e se ne va quasi sostenendo tra le righe “se solo sapeste cosa ho dovuto sopportare…”.

Il mondo nerazzurro per fortuna è popolato anche da gente come Lukaku, che fa interviste meravigliose in cui dice semplicemente di essere felice all’Inter, da Ranocchia e D’Ambrosio che hanno accettato lo stipendio decurtato, da Marotta e Ausilio che restano a lavorare, nonostante le difficoltà (le quali non sono inferiori a quelle che avrebbe avuto Conte). Se non si potrà aspirare alla grandezza di cui parlava Zhang solo un anno fa, si coltivi sempre di più l’identità.