Bisogna dirlo: l’approdo ad una sfida così sentita con la mente occupata in tutt’altre faccende, fa proprio uno strano effetto. Roma-Juventus è da sempre uno degli appuntamenti imperdibili per antonomasia. È la partita di cartello, insomma. Quella la cui eco, in condizioni normali, si diffonde già nelle settimane precedenti al grande giorno, con robusti assembramenti (in questo caso leciti) davanti alle biglietterie al fine di strappare un prezioso tagliando per assistere al match, dallo stadio, insieme ad amici o parenti. Questa volta, lo sappiamo, sarà completamente diverso.

L’Olimpico non si presenterà gremito e non si registrerà il pienone delle grandi occasioni. A far da cornice all’evento, circa mille anime, in conformità al trend post pandemia, che ci impone di guardare le gare importanti perlopiù dal divano di casa o in qualche bar. Il calendario beffardo, peraltro, ha proposto la sfida di andata molto presto, già alla seconda giornata, e nessuno poteva certo immaginare che la Roma, dopo il tanto agognato passaggio di società, e la stessa Juve, in seguito ad un coraggioso avvicendamento in panchina, ci arrivassero in questo modo, con la testa assorta in un nugolo di pensieri.

Anzi, definiamoli per quello che sono: problemi. Perché di problemi si tratta. La Roma ha trascorso l’intera settimana di preparazione a quella che, tradizionalmente, si è guadagnata l’appellativo di “sfida delle sfide”, dovendo gestire in ordine: la presunta dipartita di Džeko in direzione Torino, dove ad attenderlo c’era una divisa a strisce bianconere, poi sfumata e finita nel più classico dei “tarallucci e vino” (meno male, avranno pensato i tifosi romanisti, tirando un sospiro di sollievo), a cui occorre aggiungere il mancato arrivo di Milik per i dubbi e le perplessità che aleggiavano attorno alla sua condizione fisica.

Non è finita qui. Annotiamo anche il dilettantesco pasticcio della lista consegnata alla Lega prima dell’avvio del campionato, con Diawara annoverato tra gli “under”, quando invece doveva essere inserito negli “over”, avendo compiuto 23 anni a luglio. Risultato? La sconfitta a tavolino per 3-0 contro gli scaligeri (che ringraziano sentitamente), cui è seguita la rituale proposizione del ricorso, per il positivo esito del quale, tuttavia, si nutrono ben poche speranze. O almeno così parrebbe, attenendosi alle parole proferite dal Presidente Gravina a margine del Premio Colalucci, tenutosi martedì scorso a Roma.

Il massimo esponente della F.I.G.C, infatti, ha lasciato intendere come probabile la soccombenza dei giallorossi, malgrado l’errore non integri gli estremi della dolosa preordinazione (la Roma disponeva di quattro slot ancora liberi tra gli “over”).

Chiudiamo, infine, con la cronaca da Trigoria, dove insistenti voci di corridoio danno Fonseca già sulla graticola dopo il pareggio racimolato al Bentengodi, come allenatore destinato ad un imminente addio: sensazione avvalorata da quell’affermazione sibillina, “vediamo”, pronunciata da mister Allegri in risposta ad una domanda sulla possibilità di allenare in futuro proprio i capitolini.

Non se la passano meglio a Torino, dove, oltre a preparare la trasferta contro i giallorossi, si devono fronteggiare le pesantissime accuse scaturite dal “caso Suarez”, che, diciamocelo francamente, ha del vergognoso. Da qualsiasi prospettiva lo si guardi. Ci impegniamo tanto per rendere il nostro calcio il migliore in circolazione e poi lanciamo questi ghiottissimi assist ai nostri avversari europei che, dal canto loro, trovano così terreno fertile per canzonarci e sbeffeggiarci a lungo. Grottesco, no?

Eravamo abituati ad arrivare a cruciali rendez-vous come questo con ben altri temi. Per esempio, rievocando le più affascinanti sfide del passato: da quel 4-0, nel febbraio del 2004, con il celebre gesto della mano sventolata da Totti all’indirizzo di Tudor, all’indimenticabile 2-2 di Torino, nel maggio del 2001, che in concreto sancì il terzo scudetto della storia giallorossa, poi materialmente conquistato di lì a poco più di un mese.

Oggi, invece, dobbiamo accontentarci di contare le ore che ci separano dalla sfida, sviscerando situazioni extra campo che lasciano alquanto sconcertati. E delle quali avremmo fatto volentieri a meno.