I giovani juventini di oggi non possono capirlo: chi ha cominciato le medie nel 2011 e finito il liceo nel 2019 ha vinto tutti gli scudetti a disposizione, con gli amici interisti, milanisti, laziali, napoletani e romanisti a osservarli con la bava alla bocca. Che meraviglia.
Ma c’è una generazione di tifosi bianconeri che in quel periodo dell’adolescenza, tra gli 11 e i 19 anni, quando a scuola ci si sfotte tra compagni per ragioni calcistiche, non ha vinto neanche un campionato. Zero, capito? Feste di Milan, Napoli, Sampdoria, perfino dell’Inter e noi, gli inconsolabili reduci di Michel, che ci aveva regalato scuole elementari indimenticabili, nulla.
Lo avrete già capito: quella generazione, ovviamente, è la mia, è la storia di chi è nato nel 1975.

E non è che siano sempre stati anni calcisticamente devastanti, eh, nulla a che vedere con le milanesi di questi otto anni, tanto per capirci: due trionfi europei in Coppa Uefa, una Coppa Italia vinta a San Siro in faccia al super Milan di quegli anni dalla Juve operaia di Zoff, Schillaci, Rui Barros e il match winner Galia, qualche secondo posto in campionato, insomma roba di lusso, rispetto alle nostri attuali “rivali”. Non solo: le prodezze del miglior Roberto Baggio di sempre con il pallone d’oro alzato nel nostro stadio.

Zero scudetti, però, e ogni estate la solita solfa: cosa manca? Il successore di Platini, si mormora nei primi anni, e allora ecco Magrin, l’attesissimo Zavarov, le suggestioni Francescoli e Detari rimaste appunto solo suggestioni. Niente da fare. Manca un regista all’altezza, allora, ed ecco le periodiche voci su Dunga. Nulla.

Questa lunga premessa è necessaria per comprendere come si arrivi allo scudetto più atteso di sempre. Così, nel 1994, la Juventus cambia dirigenza, allenatore e diversi giocatori: ecco la triade, che porta Marcello Lippi e diversi calciatori importanti, a partire da Ciro Ferrara e due centrocampisti di grande intelligenza e qualità: Deschamps e Paulo Sousa.

Improvvisamente cambia tutto. La Juve gioca, perde spesso, ma sfrutta meglio di tutti la novità dei tre punti per vittoria: si può anche perderne una ogni tanto, l’importante è vincere quelle dopo. È questa spinta che porta alla partita più importante o quantomeno simbolica dell’anno, con la rimonta su una Fiorentina in vantaggio di due gol a secondo tempo già avviato. Quella vittoria ha due nomi: Gianluca Vialli, tornato Vialli sul serio, attaccante, goleador, capitano e trascinatore, che fa il primo gol, pareggia e, invece di andare a farsi un selfie sotto la propria curva, chiama i compagni subito a centrocampo, perché c’è ancora il tempo per conquistare i tre punti. Alessandro Del Piero, che quei tre punti se li va a prendere nel modo più incredibile che si ricordi, quel tiro al volo senza senso su lancio (!) da sinistra di Alessandro Orlando.

Prima c’era stata Juventus-Milan, decisa da un colpo di testa (!) di Baggio, quasi un passaggio di consegne tra campioni uscenti ed entranti. E poi ci sarebbe stata la vittoria di Parma, con l’unico gol di Paulo Sousa e poi lo show di Ravanelli. Eccoli, allora, altri nomi chiave, e ne dimentichiamo tanti altri, a partire da chi para tutto, il grande Peruzzi, portiere all’altezza della fenomenale storia bianconera in quel ruolo.

Così si arriva al 21 maggio del 1995, esattamente 25 anni fa oggi. C’è Juventus-Parma e possiamo mettere ufficialmente fine a quel digiuno troppo lungo. La fame è tanta, troppa, e così non ci basta vincerla, la vogliamo stravincere: Ravanelli, Deschamps, Vialli e ancora Ravanelli, 4-0 per noi e poi la festa, con le commosse dediche al fratello Andrea Fortunato, scomparso da poche settimane, Lippi felice, Vialli innaffiato d’acqua dai compagni negli spogliatoi, Di Livio che fa partire i cori, Baggio sorridente ma con quello sguardo un po’ così di chi capisce che qualcosa sta finendo, noi impazziti allo stadio, per strada o dentro casa. Perché quello del 1986 con Roma-Lecce è stato il più incredibile, il 5 maggio il più divertente, il primo post Calciopoli il più bello, ma quello, quel 21 maggio di 25 anni fa, era il più atteso di sempre. Da tutti, ma soprattutto da un ragazzo juventino di 20 anni, reduce da 8 anni di medie e liceo senza neanche uno scudetto.