Non si gioca, non si esce, i pensieri decidono autonomamente dove andare e così mi vengono in mente, senza un motivo, due tra le più deludenti partite europee delle Juve di questi anni: l’andata di quello Juve-Real poi concluso a Madrid tra imprese sfiorate, rigore e fruttini e Lione-Juve di poche settimane fa, quando ancora la vita andava di fretta e si cenava presto perché “veloci che tra un po’ comincia la partita”.

La Juve col Real, prodezza di Ronaldo a parte, comincia benino, ma poi si scopre troppo fragile, prende gol, finisce in 10, rovesciata, applausi: 0-3, disastro. A Lione, l’abbiamo ancora negli occhi, non c’è stato neanche quell’inizio tutto sommato promettente: nulla, solo un secondo tempo di possesso nell’altra metà campo dopo un primo tempo inguardabile.
Ecco, mi viene da pensare: che cosa unisce queste due partite?

Ci penso e ci torno più avanti, quando trovo la risposta giusta.

Anche se non sembra, c’è comunque un’attualità, fatta di un presidente federale che ogni giorno lancia una soluzione diversa, società che parlano troppo (con l’antica scusa del “parlo a titolo personale”) e fremono dalla voglia di tornare in campo, come se non si accorgessero di cosa accade intorno, e altre che non si esprimono, aspettano, rispettano, al più mettono un like su Twitter all’idea di non accettare con entusiasmo uno scudetto eventualmente assegnato, perché a quanto pare da certe parti gli scudetti regalati non sono graditi.

Società, queste ultime, che parlano in un altro modo, solo quando c’è da comunicare qualcosa: così, un tranquillo e routinario sabato sera diventa un momento speciale per tanti tifosi juventini quando sul sito ufficiale della Juve viene annunciato l’accordo tra giocatori, allenatore e società sulla rinuncia per gli stipendi dei prossimi mesi, ove non si giocasse. Da lì, dopo un’iniziale reazione positiva anche dei soliti noti, in difficoltà nel commentare un così bel gesto dell’ambiente Juve, è bastato lasciare loro un po’ di tempo per riprendersi e abbiamo potuto assistere all’ennesimo festival del delirio rancoroso, tra “perché dite bravi? Non vanno in beneficenza ma alla società” al “tanto un paio di mensilità se le riprenderanno più avanti” (e quindi?) all’immarcescibile “è solo un trucco della Juve”, che come il nero sta bene su tutto.

Non stento a immaginare, come conferma Dybala, che non tutti fossero d’accordo, che qualcuno avesse qualcosa da lamentare e altri in futuro si faranno sentire, ma è proprio questo a rendere speciale il lavoro di Chiellini (e Bonucci-Buffon, si dice) e più in generale l’ok finale di tutti i giocatori, compresi quelli che non erano d’accordo: si discute, ci si confronta, ci si lamenta, ma questo è il momento in cui tutti devono fare un sacrificio. I nostri sono stati i primi a capirlo e così ci hanno reso orgogliosi, ci sono riusciti, anche mentre non si gioca.

Il resto non si muove, anzi sì, perché la Juve annuncia il rinnovo, o meglio esercita la possibilità di prolungamento a Matuidi in un momento complicato per lui (come noto, è uno dei tre giocatori positivi della squadra), e magari è già un primo gesto della società per far capire la propria gratitudine ai giocatori.

O magari no, perché Blaise rimane un giocatore importante e, grazie per il tempo che mi avete concesso per pensare, è la risposta alla domanda posta a inizio articolo: cos’hanno in comune quelle due partitacce europee?

L’assenza di Matuidi, campione del mondo con la Francia, di Francia col Psg, d’Italia con la Juve, talvolta sgraziato, certo non zeppo di talento, perfino contestato, eppure sempre importante.

In bocca al lupo e guarisci bene, Blaise: avremo comunque un altro anno per rivederci, per arrabbiarci per uno stop sbagliato, per rimpiangerti quando non sei in campo.