La triste notizia dell’addio a Boniperti ci ha quantomeno permesso di rivedere interviste, rileggere frasi e ammirare gol e giocate di uno dei massimi simboli della juventinità al di fuori della famiglia Agnelli a partire dai giorni della fondazione della Juventus. Il calciatore da record con la sua sana cattiveria sportiva, l’eleganza e decisione nelle dichiarazioni, la competenza e abilità da dirigente, l’eterna voglia di prevalere sull’avversario e di essere il migliore.

Al di là del bel gesto di Gianluca Vialli, che ha derogato al protocollo e indossato il lutto al braccio pur non essendo uno dei protagonisti in campo, Boniperti ha generalmente ricevuto univoci attestati di stima, rimpianto e, non serve neanche dirlo, nostalgia per lo stile Juve che non c’è più. Ora, per i giovani che al tempo non c’erano e per puro rispetto della leggenda bianconera e della verità, può essere utile ricordare che il clima che ben conosciamo intorno alla Juventus è cresciuto e si è alimentato esponenzialmente e forse irrimediabilmente proprio negli anni in cui Giampiero è stato artefice della costruzione, da presidente, della squadra più forte del mondo.

Da Turone al duello scudetto con la Fiorentina, dal polemico scontro con il Verona in Coppa Campioni fino al giorno più nero – quello dell’Heysel -, mai e dico mai da alcun “nemico” è stata riconosciuta l’esistenza di un presunto stile Juve capace di renderci – non dico simpatici – quantomeno legittimati a goderci i trofei che via via conquistavamo.  Lo stile, regola aurea che ci accompagna da sempre, da noi lo aveva sempre solo chi non c’è più. Per capirci: Del Piero durante la leggendaria carriera bianconera è stato aggredito con ogni genere di epiteto (dal presunto doping alle raccomandazioni per giocare in nazionale quando faticava a tornare lui dopo l’infortunio), salvo diventare un esempio di classe e sportività non appena salutato dalla Juventus, a 38 anni e in uno dei giorni più belli della storia della Juventus, con lo scudetto alzato al cielo dopo un incubo cominciato con Calciopoli. “Ma come, trattate così una leggenda come Del Piero? Non c’è proprio più lo stile Juve…”. E così via, con il turpe Conte bianconero da squalificare a quello finalmente carismatico, con le sue romantiche ossessioni, visto non appena accasato altrove. E che dire di Marotta, andato via dalla Juve inseguito dalle telecamere di Report e finalmente tornato solo un grande dirigente, come merita di essere valutato?

Belli, a volte splendidi, certi ricordi che abbiamo letto: la prossima volta, magari, fateci il favore di commentare così anche quando i personaggi che hanno fatto la storia del nostro club ne fanno ancora parte. Dopo, ai più maligni, potrebbe apparire quasi strumentale, come a sminuire chi li ha sostituiti.

Ed eccoci a oggi, agli Europei in cui, per un Morata in difficoltà, c’è un Chiesa che appena ha una chance da titolare è il migliore in campo, Bonucci e Chiellini fanno sempre il loro, Ramsey pare trasformato rispetto a questi malinconici due anni bianconeri, Rabiot fa il titolare accanto a Pogba & co, Kulusevski appena ripresosi fa già il suo show, in cui insomma ci rendiamo conto che la squadra è certamente da migliorare, ma forse non è così male come abbiamo pensato (e talvolta visto) quest’anno.

No, non l’ho dimenticato: Ronaldo va trattato sempre a parte. La forza di un ragazzino, la forma fisica di sempre, la freddezza, la presenza costante in ogni giocata pericolosa della sua nazionale. Il capocannoniere dell’Europeo, uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi trattato da tre anni come il grande problema della Juve, come un buon giocatore ormai sul viale del tramonto e noi qui, increduli, a dovere rispondere seriamente che se parti sempre 1-0 e non vinci, il problema non risiede in chi ti fa quasi sempre quel gol di vantaggio.

Ma forse siamo ai saluti e allora beato te, caro Cristiano, devo informarti che sei in procinto di tornare un top assoluto e un esempio per tutti gli sportivi. Proprio come tre anni fa, prima di quell’annuncio di metà luglio.