Troppo facile conquistarmi, se metti davanti a un microfono Andrea Agnelli e un Massimiliano Allegri di ritorno.

Troppo facile, dai. Magari fai cominciare il presidente, i complimenti all’Italia e gli fai subito dire le cose che mi piacciono di più: il passato non conta, c’è solo il futuro e non è certo perché Allegri ha vinto 5 scudetti di fila che sarà scontato vincere il prossimo titolo. Lo scrivo qui tutte le settimane e la cosa sta diventando un po’ noiosa, ne sono consapevole, ma detta da Agnelli magari fa più breccia, chissà. La Juve sta mandando da tempo un messaggio chiarissimo non solo e non tanto ai nemici, ormai irrecuperabili dopo un decennio devastante, ma a noi tifosi: supportate, anche nelle difficoltà, perché non è perché si è più ricchi o perché si ha Ronaldo e Allegri che le vittorie arrivano così, senza sforzi. La società sente intorno a sé questo senso di appagamento, quasi di noia, di bivio tra minimo sindacale (scudetto) e fallimento, senza mai una gioia profonda a meno che prima non si vinca la Champions (o la Superlega, che sarebbe anche meglio).

Troppo facile, se si parte così. A quel punto, per farmi sorridere un po’, Agnelli potrebbe ricordare a tutti che si tratta della conferenza di presentazione di Allegri e non sua, qualcuno continuerebbe comunque a fare domande a lui ma poi finalmente prenderebbe la parola Max e sarebbe bello vederlo completamente emozionato, quasi incapace di completare un discorso, più carico e divertito di prima.

Troppo facile, se gli fate raccontare il suo amore per questo ambiente e questa società, che lo ha indotto a rifiutare il Real Madrid; se chiarisce anche lui che lo scudetto è chiaramente l’obiettivo, oltre ad arrivare a marzo in lizza in ogni competizione, ma che i favoriti sono altri, quelli che hanno vinto meritatamente con 15 punti di vantaggio e quindi ripartono da lì, da una squadra più abituata a non perdere punti quando non si devono perdere. E allora prendiamocelo, per una volta, questo ruolo da sfidanti, perché capire che non si è imbattibili potrebbe avere fatto bene anche alla squadra, scopertasi vulnerabile dopo un’era senza sconfitte. E poi le analisi sui giocatori, Rabiot citato tante volte e torna in mente quanti allenatori di lui dicano sostanzialmente la stessa così: con i mezzi che ha, perché siamo ancora qui a parlarne come di un quasi flop? Se fai il titolare nella super nazionale francese, come mai da noi non riesci a sfondare?

I gol in più richiesti a McKennie e Kulusevski, l’ostentata fiducia in Paulo Dybala: che sia la sua stagione, perché può e deve esserlo.

La battuta su Bonucci e la fascia per chiarire le regole del gruppo e finalmente, inutile far finta di niente, il discorso Ronaldo. Allegri mette uno steccato chiaro e sacrosanto: sei il più forte, i numeri fanno impressione, splendido averti in campo con noi, ma ora ci serve più l’uomo, il veterano, il più esperto e vincente, perché la squadra non ha più i mille Khedira e Matuidi, e anche i Chiellini sono a un passo dall’addio. In breve: fai quello che sai fare in campo e aiutaci però anche a gestire anche uno spogliatoio che deve crescere e tornare a vincere.

Ah, dimenticavo Agnelli in risposta a qualcuno sui trofei che dalle nostre parti si festeggiano sempre, perché ogni trofeo vale oro ed è complicato da raggiungere. Ah, dimenticavo Allegri vantarsi di essere aziendalista: certo, se lavoro per la Juventus devo fare due cose, vincere e creare valore. Bello, dice, essere aziendalisti, e mentre ascolto questa frase, ripenso agli sguardi, a quanta juventinità c’era in questa conferenza stampa, alla carica con cui paiono cominciare la stagione, mi viene in mente che così, conquistarmi, è davvero troppo facile.