La cosa bella della fine della pausa per la nazionale è che finisce. La cosa brutta della fine della pausa per la nazionale è che ci porta a dover affrontare la temibile “conta”.

La conta” è quel procedimento che tocca ad ogni allenatore di club quando i suoi giocatori tornano all’ovile: c’è quello stanco, quello acciaccato, quello rotto, quello che arriva in ritardo, quello che non arriva, eccetera. Nel caso dell’Inter le questioni sono note. E fastidiose. Sanchez s’è fatto parecchio male. D’Ambrosio meno, ma comunque non balla la rumba. Son questioni che un mister mette in conto, ma fanno comunque girare le balle.

Noi, qui, non parleremo di mercato, perché in questo momento ha davvero poco senso (avete notato? Appena qualcuno ha un problema, anche solo un’unghia incarnita, si inizia a parlare di “rinforzi da prendere ad ogni costo altrimenti è finita!”), noi qui tenteremo un’impresa: rasserenare gli animi o, quantomeno, dare un piccolo ceffone a tutti quelli che “non si rendono conto”.

Avete notato? Il ko con la Juve e la concomitante pausona per la nazionalona hanno generato una combo micidiale. Da dieci giorni non si fa altro che parlare di guai, problemi, rogne nerazzurre: Lukaku non va, “quei due là” si sono fatti male, bisogna intervenire sul mercato, la rosa è incompleta, Lazaro è chiaramente una pippa, Conte deve assolutamente cambiare modulo, Ibrahimovic serve come il pane, Rakitic serve come il pane, Milinkovic serve come il pane, il pane serve come il pane.

Succede nelle tv, sui giornali, in radio, per strada. L’interista incrocia un altro interista al bar, lo guarda e… “Ah, poveri noi”. Oppure, nella migliore delle ipotesi: “Eh, sì, ok, c’è Conte… però non basta”.
Questo maledetto retaggio del passato (il pessimismo cosmico interista) ha – perdonate il francesismo – francamente rotto i santissimi. Cioè, l’Inter ha vinto sei delle prime sette partite in campionato, ha perso contro una squadra decisamente superiore eppure… a nessuno frega molto della classifica e pochissimi si ricordano di com’era la situazione esattamente un anno fa (Inter già a distanza siderale dalla zona scudetto).

Non interessa vedere i miglioramenti, che ci sono e si vedono sia fuori che dentro al campo, si preferisce menare il torrone su “quanto siamo piccoli” e “quanto siamo sfigati” e “quanto siamo lontani” e “presto un meteorite cadrà su Appiano, me lo sento”. Ellamiseria!

Guardare-la-classifica. Guardala. Guardiamola. Guardatela. Sentitevi orgogliosi. Pensate a Sassuolo-Inter di domenica, al fatto che quello che è successo a San Siro dieci giorni fa è certamente fastidioso ma non significa “è tutto finito”. L’atteggiamento da “è tutto finito” è esattamente quello che non vogliono trasmettere al gruppo Conte, Oriali e compagnia briscola.

Basta frignare, basta lamentarsi, basta tirarsi la rogna addosso, la qual cosa non significa “nascondere i limiti” semmai evitare di vedere tutto nero anche quando non è decisamente tutto nero.
Avanzare nel processo di crescita significa anche questo: smetterla di pensare come Calimero e provare a vedere le cose sotto un altro punto di vista.

Si sono fatti male due giocatori? Crediamo negli altri. Abbiamo perso una partita importante? Vinciamo la prossima. Un giocatore ha reso poco nelle prime sette giornate? Ci farà vedere quello che vale a partire da domenica. Gli “esageratamente ottimisti” in genere non fanno una bella fine ma a differenza dei pessimisti cosmici, almeno, evitano di tirarsi masochistiche mazzate sui gioielli di famiglia.

Addio pausa per la nazionale, addio polemiche sterili, torniamo a parlare di cose concrete che è meglio.