Di Alfredo Pedullà
5 Febbraio 2020
Che derby sia, ma che derby sarà? Inter-Milan è un oceano di gente che affollerà il Meazza con gli umori evidentemente contrastanti dopo le ultime operazioni di calciomercato. L’Inter aveva bisogno di un po’ di panna su una torta gustosissima, l’operazione Eriksen si spiega così: la voglia di anticipare a gennaio un’operazione che per luglio, a parametro zero, avrebbe comportato non pochi rischi. Se riesci a investire con qualche mese di anticipo, è evidente che tu non possa e non debba rinviare a domani quanto puoi fare oggi. Il Milan ha assistito, accontentandosi di operazioni in tono minore, al massimo qualche giovane per il futuro. E la necessità di richiamare a casa Laxalt, in prestito al Toro, dopo il naufragio dell’operazione Robinson con il Wigan, non è stato certo il massimo della tempistica.
Ma il Milan aveva sparato il colpo in tempi non sospetti: era dicembre quando il signor Zlatan Ibrahimovic decise di sciogliere le riserve e di legarsi nuovamente ai rossoneri dopo un inseguimento interminabile. Il botto di mercato è lui, l’intramontabile trentottenne che si sente eterno e che ha avuto il potere di risvegliare quelli che dormivano: non è un caso che lo stesso Rebic, arrivato lo scorso settembre e segnalato in perenne letargo, abbia deciso di lasciare il segno con tre gol quando prima faticava addirittura a giocare uno spezzone di quindici minuti. Miracoli firmati da quel gran genio di Ibra che si è concesso una pausa (febbre mista a qualche problema muscolare) proprio per prepararsi bene al derby che sente come se fosse la partita della vita. Con Ibra si sono allineati quasi tutti, compreso quel Calhanoglu che – prima di Zlatan – cercava la porta dalla distanza e i suoi tentativi finivano in curva. Dopo Zlatan, come se fosse un po’ etere magico, segna come se fosse la specialità della casa.
Ah, Ibra… Peccato che il Milan sul mercato abbia scelto di privarsi di pedine che, fino a non troppi mesi fa, sembravano insostituibili. Un nome? Piatek, finito all’Herta Berlino comunque senza il bagno economico che le sue recenti e impalpabili prestazioni avrebbero potuto provocare. E spiace per Suso, a lungo intoccabile nello scacchiere rossonero, finito invece ai margini della prima squadra – panchina fissa – al punto che si è resa necessaria la cessione al Siviglia. È rimasto Paquetà soltanto perché nessuno avrebbe messo sul tavolo i 30 milioni (almeno) necessari per giustificare il trasferimento. Una condanna che rischia di far male al bilancio.
L’Inter ha servito Conte in tutto e per tutto. I due esterni bassi arrivati dalla Premier: Young era un pallino di don Antonio mentre Moses ci aveva già lavorato ai tempi del Chelsea. Non è un caso che entrambi arrivino dopo l’esperienza in Inghilterra, il campionato che Conte apprezza di più per quel furore agonistico misto a personalità, ingredienti fondamentali per poter far parte da protagonisti delle squadre che allena. Un allenatore così esigente aveva speso a lungo il nome di Vidal, il centrocampista ideale per fisicità e inserimenti con fiuto del gol, ma quando l’Inter ha intuito che sarebbe stato impossibile convincere il Barcellona ha optato per l’eccellente Eriksen. Che non avrà le stesse caratteristiche di Arturo, anzi è abbastanza distante, ma sa come e quando decidere una partita coprendo più ruoli, da mezzala a trequartista.
Conte sarebbe stato felicissimo se gli avessero preso anche una punta in grado di permettere a Lukaku di non ricorrere alle bombole di ossigeno, tuttavia dobbiamo essere onesti: gli hanno speso talmente tanti di quei soldi che adesso conta soltanto un verbo, vincere. Almeno un trofeo, almeno una coppa, qualcosa che giustifichi l’irruzione sul mercato di Suning senza alcun tipo di indugio.
Ma ora che il mercato è alle spalle, sappiamo soltanto una cosa: il derby sfugge a qualsiasi tipo di valutazione. È vero che all’andata non ci fu partita, o quasi, ma è altrettanto sacrosanto che l’effetto Ibra ha avuto il potere di rimescolare almeno parzialmente le carte e di risvegliare gente che sembrava finita dentro un tunnel lungo venti chilometri. Se il Milan vincesse o pareggiasse, darebbe un piccolo ma significativo senso a una stagione fin qui disgraziata. Occhio, però: se l’Inter non lo portasse a casa, sarebbe una frenata talmente brusca da mettere a rischio l’intera missione scudetto.
Giornalista e opinionista sportivo, grande esperto di calciomercato in Italia. "È un privilegio quando passione e lavoro coincidono".