Franck Ribery, una vita vissuta sempre con il piede sull’acceleratore

Il campione francese classe ‘83 Franck Ribery ha alle spalle una storia semplicemente da brividi. Abbandonato dai genitori naturali, adottato pochi mesi dopo dalla sua “vera” famiglia, a soli due anni deve fare i conti con un incidente stradale che lo segnerà per sempre.
Diverse cicatrici sul volto, gli faranno prima battere i pugni sul muro e poi diventare uomo molto prima degli altri, molto prima di tutto.

Quello che sono oggi lo devo a quel momento. A quell’incidente. Non fosse stato per lui, non avrei il carattere che ho ora. Non mi sottoporrò mai alla chirurgia estetica e sapete perché? Perché questa ferita fa parte di me. Mi ha forgiato e reso un uomo migliore e non intendo per nessun motivo al mondo cancellarla”.

Dall’incidente alle magie con la maglia dei Bavaresi, di anni con le scarpette ai piedi ne sono passati, ma quello che per sempre rimarrà nel cassetto dei brutti ricordi è quella maledetta esperienza al Galatasaray. Era il 2005 e Ribery si trovava a Istanbul coccolato dalla tifoseria dei Leoni. Passano i mesi ma gli stipendi non arrivano e, al quarto consecutivo non pagato, Franck fa le valigie direzione Marsiglia. Il tribunale diventa il luogo dove discutere, ma lui non ci pensa proprio a tornare in Turchia. Tra procedure, clausole, penali e soldi, la situazione sembra risolversi fino a quando, un giorno bussano alla porta di casa tre uomini. (come riportato da Goal.com)

“Sono venuti a casa mia in Francia. Tutti sapevano che il mio nuovo agente era Bruno Heiderscheid. Ero a casa con la mia famiglia e non volevo parlare.
Ho detto che avrebbero dovuto parlare con il mio agente e il mio nuovo club d’ora in poi. Ha bussato alla finestra di casa mia e poi ha detto che se non avessi aperto la porta mi avrebbe distrutto la macchina con una mazza da baseball. Erano accanto alla mia macchina. Ho chiamato il mio avvocato e mi ha detto di non fare nulla. Ho chiamato la polizia militare e presentato una denuncia“.
Con il passare del tempo la situazione ritornò poi alla normalità e Ribery poté finalmente tornare a fare quello che meglio sapeva fare… insegnare calcio. 

El Loco Gatti e quel vizio nascosto dietro al palo

‘El Loco’ Gatti, così soprannominato per quello spirito libero a volte al limite della follia, è stato considerato da molti in quegli anni come il precursore del ruolo del portiere contemporaneo. Le sue uscite palla al piede, la direzione di una linea difensiva molto alta e la discreta abilità con i piedi hanno fatto il resto.
Un giocatore che, nei primi anni, ha sempre vissuto all’ombra di Carrizo, ma che poi ha trovato la sua dimensione con la maglia del Boca.
Abituato a sdraiarsi vicino al palo, quando il pallone era lontano, per prendere il sole e, quando faceva freddo per tenersi caldo, faceva uso di qualche aiutino.
“A Kiev faceva un freddo assassino. Con tutta la neve che stava cadendo, il terreno di gioco sembrava una pista di pattinaggio. Io avevo con me una boccetta di vodka. Ogni tiro, un sorso. Dev’essere stato per questo che non passava nulla. Anche se non è stata l’unica partita in cui me la sono portata dietro: anche contro la Polonia, l’Ungheria..”

Per andare in trasferta servono i soldi

Bremer oggi è uno dei difensori più in crescita del calcio italiano, ma in generale di quello mondiale. Quel numero 3 sulla maglia granata farà strada, ma facciamo qualche passo indietro e andiamo là, da dove tutto è partito.
Gleison Bremer Silva Nascimento nasce a Itapitanga nel 1997, e porta nel suo nome i primi segni del suo futuro.
Il padre lo chiama Bremer, in omaggio al campione del Mondo di Italia ’90, e protagonista con l’Inter di stagioni da ricordare, Andreas Brehme. Chissà che proprio la Beneamata non sia la sua prossima meta, ma questo è tutto un altro discorso.

Cresce calciando un pallone, come del resto il Brasile intero, e porta nel cuore il sogno verdeoro: fare il calciatore. A 16 anni deve trasferirsi da solo a San Paolo, dove suo padre ha trovato grazie ad alcune amicizie una squadra pronta a scommettere su di lui, il Desportivo Brasil.
“Abitavo in un’altra città e quindi dovevo rimboccarmi le maniche. Vendevo i gelati e i soldi che incassavo li davo al mio allenatore, per pagare il trasporto per andare a giocare in trasferta”.
Nel 2017 il San Paolo, poi l’Atletico Mineiro e infine il Torino. 

“Ho scelto il Torino perché l’allora direttore sportivo Petrachi mi ha voluto fortemente. Mi ha convinto dicendomi che l’Italia è il miglior campionato possibile per un difensore. Qualcosa della storia granata già conoscevo, poi ho controllato su Google”.