Quando Lucas Leiva era Lucas Pezzini

Il centrocampista classe ’87 Lucas Pezzini cresce calcisticamente tra le fila del Gremio, fino al suo esordio in massima serie.
Le sue qualità lo portano in pochissimo tempo a raggiungere traguardi incredibili. Nel 2006 si aggiudica la Boula de Oro, il riconoscimento per il miglior giocatore del campionato brasiliano e per due anni consecutivi vince con il suo Gremio il Campionato Gaucho.

Il ragazzo si è fatto notare anche in Europa e per primo a mettere gli occhi su di lui fu l’allora D.S. del Palermo Rino Foschi. Prima della vera esplosione, i rosanero avevano già avviato i rapporti con il giocatore e il club, sia per le sue doti tecniche sia per quel cognome dalle chiare origini toscane (bisnonno contadino emigrato in Brasile), che voleva dire una sola cosa: passaporto italiano.
Ma gli ultimi mesi complicarono tutto. La richiesta iniziale di 6 milioni di euro del cartellino passa a 10 milioni e sul centrocampista iniziano a muoversi anche i top club. Dal tutto al niente di fatto è un attimo, e Lucas Pezzini Leiva firma per il Liverpool. 

A volte non basta essere raccomandato

Il The Guardian ha deciso di riaprire una vecchia ferita nel cuore forte di Josè e riportare alla luce alcuni passaggi della sua vita con gli scarpini ai piedi. ‘Ze Mario’, così era soprannominato il futuro Special One, che dopo la trafila nelle giovanili con la maglia dell’Uniao Leira decise di seguire il padre al Belenenses, dove Felix ricopriva il ruolo di allenatore della prima squadra. Il padre si trasferì al Rio Ave e con lui portò Josè di soli 19 anni, e proprio da qui parte la nostra storia.

Il giorno di Mourinho jr potrebbe essere arrivato, e il padre alla vigilia di una gara complicatissima contro il magico Sporting Lisbona, deve fare i conti con un’infermeria affollata.
Non ci sono terzini di ruolo, l’unico è Josè e quindi giocherà lui.
L’occasione della vita è arrivata, ma accade quello che nessuno si sarebbe mai aspettato. Il numero uno del Rio Ave, il presidente Josè Maria Pinho non ci sta e minaccia il posto di Felix alla guida della squadra. La presa di posizione non lascia scelta al tecnico, che decide di lasciare in panca il figlio. Il quotidiano inglese spiega che proprio grazie a quel fatto, nel giovane Mou cambiò qualcosa.
Decise di continuare e staccarsi dal padre, approcciarsi al calcio in modo diverso e in leghe inferiori. Dopo 4 stagioni, all’età di 24 anni, appese gli scarpini al chiodo e disse addio al calcio da calciatore, ma non da allenatore, quella è tutta un’altra storia. 

Il “Principino” non voleva fare tardi

“A 19 anni andavo in discoteca con l’abito, mi piaceva. Il soprannome “Principino” nasce dal fatto che spesso mi presentavo così anche agli allenamenti, ma non per vezzo: mi è successo spesso che arrivassi direttamente dalla serata e dormissi tre ore in macchina nel parcheggio del campo sportivo”.

Come raccontato durante un’intervista a Vanity Fair, l’ex centrocampista della Juventus era solito, almeno in un certo periodo, fare le ore piccole. Detto questo è divertente anche l’episodio raccontato ai microfoni di DAZN sempre in riferimento a questo argomento.
“Una mattina, mi ha svegliato il rombo del motore della macchina di Del Piero. Io avevo dormito in auto perché era talmente tardi che non conveniva tornare a casa, quindi avevo dormito nel parcheggio. Salutai Alex che, ignaro, mi fece i complimenti per la puntualità“.

Poteva essere la storia del solito talento dal dubbio futuro nel calcio, ma invece, con gli anni e la consapevolezza, Claudio Marchisio riuscì a realizzare il sogno di tanti: diventare una bandiera della squadra del suo cuore.