Quella di Walter Casagrande è la storia di un uomo, ancor prima che di un calciatore, vissuta a giri alti, in tutte le accezioni che questo concetto possa assumere. Capace di exploit incredibili in campo, come la doppietta nella finale di andata di Coppa Uefa nel 1991-92 con la maglia del Torino, a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 è stato uno degli attaccanti brasiliani più interessanti in circolazione. A un indubbio talento, che ha fatto innamorare i tifosi sia in Brasile che in Italia, ha alternato scivoloni extra-calcistici che ne hanno probabilmente impedito la maturazione definitiva per arrivare a diventare un fuoriclasse.

Gli inizi in Brasile: la Democrazia Corinthiana

Walter Casagrande Junior nasce a San Paolo, in Brasile, il 15 aprile del 1963. Coltiva la passione per il calcio fin da bambino e nel corso degli anni ’70 cresce sportivamente nelle giovanili del Corinthians, squadra con cui esordisce da professionista nel 1980. Dopo una breve esperienza alla Caldense torna in bianconero e si consacra come atleta: è lui l’attaccante bianconero titolare nel 1982, quando insieme a suoi compagni, guidati dal capitano Socrates, si troverà ad essere uno dei protagonisti di uno dei momenti iconici del calcio anni ’80, in quella squadra, a metà tra l’esperimento sociologico e il pionierismo nella gestione sportiva di un club, che passerà alla storia come Democrazia Corinthiana.

Nell’aprile del 1982 termina il mandato da presidente di Vicente Matheus, cambia l’intero comparto dirigenziale e, in un momento di riassestamento organizzativo delle mansioni di gestione del club, è la squadra stessa a prendere in mano la situazione. Socrates è il capopopolo che guida la rivoluzione democratica, Casagrande e Wladimir (giocatore simbolo del Corinthians, di cui diventerà primatista di presenze) sono i principali luogotenenti: tutte le decisioni riguardanti il club, siano queste inerenti al gioco, dalla formazione al modulo da adottare in campo, quanto quelle legate al comparto della gestione finanziaria e pubblicitaria, vengono messe ai voti tra tutti i componenti della squadra, che a maggioranza deliberano le scelte da adottare come gruppo. “La squadra è un tutto, io da solo non valgo nulla” una delle frasi celebri di Socrates.

Per Casagrande sono anni d’oro e i suoi gol trascinano i bianconeri alla vittoria del Campionato Paulista per due anni consecutivi. Anche se non riuscirà a vincere il campionato nazionale si fregerà della soddisfazione di chiudere il primo anno con il titolo di capocannoniere.
Nel 1984 Socrates lascia i bianconeri e di fatto l’esperienza della Democrazia Corinthiana termina. Anche Casagrande cambia aria, direzione San Paolo, e dopo una stagione di ritorno al Corinthians parte per l’Europa.

E’ fresco di convocazione in nazionale e i gol segnati in patria hanno destato l’attenzione del Porto, che lo acquista nel 1986: con i portoghesi l’amore non sboccerà mai, frenato da prestazioni altalenanti e una vita extra-sportiva tutt’altro che mite. Le presenze con la maglia biancoblù basteranno però per mettere in bacheca il più prestigioso dei trofei del Vecchio Continente: la Coppa dei Campioni. Nella massima competizione europea, Casagrande disputerà due partite, nei quarti di finale contro il Brondby. Non vedrà il campo, invece, nella finale vittoriosa contro il Bayern Monaco e di lì a poco i lusitani lo cederanno.

L’esperienza in Italia con Ascoli e Torino

Ad acquistarlo nell’estate del 1987, per circa un miliardo di lire, è l’Ascoli. Nelle Marche l’attaccante vivrà una vera e propria rinascita: nella prima stagione segna poco, ma iniziano già a intravedersi in lui le qualità di una prima punta solida, di posizione, abile nel gioco aereo e nel gioco di sponda. Entra nel cuore dei tifosi dell’Ascoli quando, di fronte alla retrocessione in Serie B maturata al termine della stagione 1989-90, il brasiliano decide di rimanere in bianconero, siglando un contratto in cui prende l’impegno di segnare almeno 20 gol in 30 partite: manterrà poi la promessa segnandone 22, diventando capocannoniere della Serie B in quell’anno e riportando, soprattutto, l’Ascoli in Serie A.

Nell’estate del 1991 viene acquistato dal Torino, la società italiana che gli resterà nel cuore. Quella granata, guidata dal tecnico Emiliano Mondonico, è una squadra rampante, la più forte che i torinesi abbiano assemblato dai tempi dell’ultimo Scudetto del 1976. In granata Casagrande mette la firma su alcuni momenti che lo elevano a idolo della Curva Maratona: il gol in semifinale di Coppa Uefa al Real Madrid al Bernabeu, la doppietta nella finale di andata contro l’Ajax a Torino, e quelli che per sua stessa ammissione, nelle parole riportate in un’intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport, sono stati i suoi preferiti: “I gol che ho fatto alla Juve li considero più importanti di quello al Real. La doppietta nel derby di qualche giorno dopo, ad esempio, fu un’altra cosa, una goduria”.
I due gol, nel 2-0 finale del 5 aprile 1992, entrambi maturati nel secondo tempo, contro la Juventus di Roberto Baggio, fanno impazzire la metà granata dello Stadio Delle Alpi, suggellando definitivamente l’amore tra il giocatore e i propri tifosi.

Col Toro mancherà la grande vittoria europea (nella finale di ritorno ad Amsterdam i granata non andranno oltre lo 0-0, cedendo il passo agli olandesi in virtù della regola dei gol segnati in trasferta dato che l’andata a Torino era terminata 2-2), ma alzerà al cielo quello che ad oggi resta l’ultimo trofeo vinto dal Torino, la Coppa Italia del 1992-93, in finale contro la Roma.

Due sole stagioni gli basteranno per ritagliarsi uno spazio speciale nel cuore dei tifosi del Toro, un amore ricambiato dal giocatore: “Ancora oggi tifo Toro. Sarò granata per sempre. Lo dicono tutti, è proprio così: si resta del Toro tutta la vita”.

Chiuderà la carriera in Brasile, nelle fugaci esperienze, condite anche da qualche gol, con Flamengo, Corinthians, Paulista e Sao Francisco. Oggi è commentatore televisivo in Brasile e compie 57 anni.