Sono passati 44 anni dal giorno che decretò il settimo Scudetto del Torino: era il 16 maggio 1976, quando il pareggio 1-1 contro il Cesena (e la concomitante sconfitta della Juventus in casa del Perugia) chiudeva idealmente un cerchio, riallacciando alla storia della Serie A un filo granata reciso di netto 27 anni prima dalla tragedia di Superga.

Fu uno Scudetto insperato all’inizio della stagione – troppo superiore, sulla carta, la Juventus – ma fu soprattutto un titolo che segnò la rinascita, dal punto di vista ideale, di una società che per oltre un quarto di secolo non era riuscita a tornare lì dove il fato ne aveva interrotto la storia. Un tricolore che nei cuori dei tifosi porta i nomi del presidente Orfeo Pianelli, di Paolo Pulici, del suo gemello del gol, Ciccio Graziani. E fu il successo di un tecnico che seppe trasformare una squadra di outsider in un gruppo di campioni: Luigi Radice. Un trionfo nato da lontano, dalla rifondazione portata avanti da Nereo Rocco negli anni ’60, dopo la retrocessione in Serie B del 1959.

La nascita del Toro tricolore

Il Torino che si appresta a disputare la stagione 1975-76 non gode certo dei favori del pronostico: ai blocchi di partenza le favorite sono la Juventus, campione d’Italia in carica, che ha puntellato un organico già stellare con gli innesti di Gori e Tardelli, l’Inter di Mazzola e Facchetti e il Milan di Gianni Rivera.

L’aspirazione non dichiarata del Toro è quella di ambire al secondo posto, anche considerato che quella, nonostante l’entusiasmo dell’ambiente per l’ingaggio di Radice, tecnico appena quarantenne che benissimo aveva fatto Cesena, Fiorentina e Cagliari, era una stagione in cui molti degli assetti di squadra erano cambiati: la dirigenza aveva recentemente ceduto due dei giocatori più rappresentativi, ovvero Aldo Agroppi e Angelo Cereser, e si era appena ritirato dal calcio giocato il simbolo della squadra, capitano per 12 anni e tutt’ora primatista di presenze in maglia granata, Giorgio Ferrini.

A Radice furono sufficienti le prime amichevoli, seppure non brillantissime, per capire che la base su cui lavorare c’era ed era di enorme qualità: chiese due soli innesti, un difensore e un centrocampista. Pianelli li pescò entrambi dal Bologna, da cui arrivarono Caporale e, soprattutto, Pecci, un giocatore la cui imprevedibilità si mostrerà un’arma fondamentale nel percorso del Toro: affidargli le chiavi del centrocampo sarà la chiave dell’avanzamento, dal punto di vista tattico, di Claudio Sala, con conseguente aumento della qualità offensiva della squadra.

Pulici e Graziani trascinano i granata

L’inizio è tutt’altro che promettente: il Toro perde col Bologna nella prima giornata e ottiene due scialbi pareggi, con Ascoli e Sampdoria, alla terza e alla quinta. Il lato positivo è che l’amalgama nel gioco di squadra è in crescendo e là davanti Pulici è in forma smagliante: le sue caratteristiche di punta potente e micidiale in fase realizzativa si compensano in maniera perfetta con quelle del suo compagno di reparto, Graziani. “Ogni pallone per me era una specie di guerra – dirà Pulici, per i propri tifosi Puliciclone – Non conoscevo mezze misure e rifiutavo l’idea che si potesse giocare badando a mantenere il risultato”.

I due, nell’intera stagione, realizzeranno 36 reti (21 Pulici e 15 Graziani), piazzandosi al primo e al terzo posto della classifica marcatori. Ad ispirare i due attaccanti è il capitano, Claudio Sala che, reinventato da Radice incursore di fascia destra, disegna calcio e serve assist alle bocche di fuoco della squadra: soprannominato il Poeta, per il suo gioco tecnico ed elegante, Sala è il giocatore dell’ultimo passaggio, del cross illuminante.

La sfida con la Juventus e il trionfo

La rincorsa alla Juventus capolista inizia alla sesta giornata, grazie alla vittoria per 3-1 sul Napoli, che in quel momento era appaiato ai bianconeri in testa alla classifica. Il gioco in crescendo e le difficoltà della Juve, che subisce imprevedibili battute d’arresto durante l’arco della stagione, fanno crescere il morale della truppa granata: quando al 22esimo turno di campionato la Juve cade 2-1 sul campo del Cesena, per il Toro lo Scudetto smette di essere solo un sogno.

Perché la settimana successiva c’è il derby e vincerlo significherebbe portarsi a -1 dalla capolista. Così è: il Torino vince il derby per 2-1, risultato successivamente rettificato in 2-0 a causa del lancio di un petardo da un settore occupato dai tifosi bianconeri all’indirizzo del terreno di gioco. Sette giorni più tardi, sull’asse Torino-Milano, il sorpasso: la Juve perde contro l’Inter, il Torino vince contro il Milan e si porta a +1. Un vantaggio che resisterà fino all’ultima giornata, quella decisiva.

E’ il 16 maggio 1976, il pareggio contro il Cesena ha il sapore della beffa per i granata, ma il destino questa volta mostra il suo volto più lieto: da Perugia giunge notizia che la Juventus sta perdendo. Sono attimi interminabili quelli che dividono il popolo del Toro da una gioia inseguita per 27 anni. Poi il triplice fischio, il Torino è Campione d’Italia per la settima volta. La prima, dopo l’addio agli Invincibili.