Una data, il 12 maggio, che accomuna due squadre, due tifoserie, nello stesso destino: è il giorno della prima volta, del primo successo, dell’ingresso nella storia del calcio italiano. Il 12 maggio è giorno in cui Lazio (nel 1974) e Hellas Verona (nel 1985) hanno scritto il proprio nome nell’albo d’oro della Serie A, diventando per la prima volta Campioni d’Italia.

12 maggio 1974, la Lazio di Chinaglia è Tricolore

Di quella leggendaria Lazio, vincitrice del primo titolo nel 1974, si è detto e si è scritto tanto: della parte sportiva, che trova nell’oggettività dei numeri il racconto di una squadra solidissima, che vedeva in Giorgio Chinaglia il terminale offensivo di una macchina sapientemente orchestrata da mister Tommaso Maestrelli, ma sopratutto della parte extra sportiva, terreno in cui voci e dicerie sussurrano di una squadra di scalmanati, per usare un eufemismo, con coloriti aneddoti di conflitti intestini allo spogliatoio, frutto di tensioni tra due fazioni: quella capitanata da Chinaglia e Wilson da una parte e quella “fedele” a Martini e Re Cecconi dall’altra.

Il miracolo lo fece Maestrelli, che fu abilissimo a fare da collante al talento grezzo che aveva tra le mani, incarnato da una rosa tra le più forti degli anni ’70: a lui vanno riconosciute, oltre ad indubbie capacità tecniche (il gioco della Lazio si distingueva per la sua innovativa disposizione all’olandese, un prototipo del gioco a zona che si affinerà negli anni a venire), spiccate doti da motivatore, psicologo, persino padre all’occorrenza. La sua capacità di disinnescare le tensioni interne al gruppo, almeno nel frangente domenicale, fu una delle chiavi di volta del successo biancoceleste.

Lo portò a Roma nel 1971 Umberto Lenzini, non solo un presidente, ma per molti il presidente, che aveva individuato nel tecnico pisano l’uomo giusto per risollevare le sorti della società dopo la retrocessione patita nella stagione precedente. Riporta la Lazio in A, ne consolida l’organico e il gioco, sfiora lo Scudetto nel 1973, arrivando a due soli punti dalla Juventus campione. Poi, nel 1973-74, il capolavoro.

La Lazio parte in sordina nelle prime giornate, perdendo contro la Juve, diretta concorrente per la vittoria finale. Il gioco però cresce e la squadra ingrana. Guidati dalla vena realizzativa di Chinaglia, che chiuderà la stagione con il titolo di capocannoniere con 24 reti, inanella, nella seconda parte del girone d’andata, un filotto di vittorie che proietta i biancazzurri in vetta alla classifica a dicembre. Il volo dell’Aquila non si fermerà: è il 12 maggio 1974 quando, allo Stadio Olimpico, un rigore trasformato proprio da Chinaglia permette alla Lazio di vincere contro il Foggia e dà il via al tripudio laziale: la Lazio è Tricolore per la prima volta nella propria storia.

Pulici, Wilson, Petrelli, Oddi, Martini, Nanni, Frustalupi, Re Cecconi, Garlaschelli, D’Amico e Chinaglia: l’elenco, tramandato per anni dai padri ai figli, dei primi eroi, della Lazio Campione d’Italia.

12 maggio 1985, l’impresa dell’Hellas Verona

Per capire la portata dell’impresa dell’Hellas Verona nella stagione ’84-’85 non è sufficiente nemmeno allacciare il parallelismo con l’impresa, comunque ai limiti dell’incredibile, compiuto dal Leicester nella stagione 2015-16 in Premier League. Non è sufficiente se considerate portata, significato e interpreti di quel campionato: la Roma era la Roma di Falcao, finalista di Coppa dei Campioni pochi mesi prima, il 10 della Juventus era sulle spalle di un certo Michel Platini e nel Napoli… beh, al Napoli c’era lui, Diego Armando Maradona.

In un campionato infarcito di 3 dei più grandi calciatori della storia di questo sport, ad avere la meglio, a fine anno, al termine di una cavalcata in cui giornata dopo giornata l’incredulità generale faceva spazio all’entusiasmo dei tifosi che assaporavano un’impresa che forse era possibile, fu una squadra che ai nastri di partenza si era presentata con l’obiettivo di ottenere la salvezza.

È l’Hellas Verona di Osvaldo Bagnoli, tecnico nato a Milano, che, grazie alle imprese portate a compimento sulla panchina veneta, si guadagnerà il soprannome di Mago della Bovisa (il quartiere di cui era originario). Aveva preso il Verona nel 1981 in Serie B, riportandolo nella massima serie già al termine del primo anno. I gialloblù erano stati la rivelazione del campionato successivo, in cui si erano piazzati quarti a fine stagione, e ancora un anno più tardi avevano chiuso con un onorevolissimo sesto posto.

Una squadra già rodata necessitava, secondo il proprio tecnico, di pochi innesti per fare il saldo di qualità. Nell’estate 1984 gli scaligeri ingaggiano l’attaccante danese Preben Elkjær Larsen, che insieme a Giuseppe Galderisi andrà a comporre una coppia d’attacco da 26 gol stagionali (con 13 marcature a testa saranno loro i capocannonieri della squadra nella stagione).

L’abilità di Bagnoli fu principalmente questa: prendere un gruppo di giocatori ben rodato e, grazie all’aggiunta di alcuni tasselli, calciatori spesso poco impiegati dalle squadre di provenienza, completare il puzzle. Con una rosa di 17 uomini (un numero risicatissimo anche per l’epoca) e uno staff tecnico composto da due soli effettivi, l’Hellas spicca il volo.

La cavalcata veronese è inarrestabile fin da subito: i giallublù balzano in vetta alla classifica alla seconda giornata di campionato e non lasciano più la posizione. In autunno respingono Sampdoria e Torino, dirette concorrenti per il titolo, proseguono la marcia e ottengono il titolo d’inverno. Quando alla 16esima giornata il pareggio con il Napoli segna l’aggancio da parte dell’Inter, tutti pensano che la favola sia destinata a concludersi prematuramente. Ma così non è: il Verona riparte, l’Inter rallenta.

Il sogno diventa realtà il 12 maggio 1985, sul campo di un’Atalanta ormai salva: basta il pareggio, 1-1, con gol di Elkjær Larsen, e l’Hellas cuce sul proprio petto uno Scudetto incredibile per tutti, tranne per chi, per tutto il campionato, è rimasto in cima alla classifica della Serie A. Roberto Tricella, capitano di quella squadra, ha ricordato così quell’impresa: “Rappresenta un orgoglio, è una cosa che non ci toglierà mai nessuno. Magari riuscendo a non vendere ogni anno un pezzo importante della rosa avremmo anche potuto ripeterci. In Italia in quegli anni Ottanta c’erano i giocatori più forti del mondo, da Maradona a Zico, passando per Falcao, Socrates e Platini. Averli battuti resterà nella storia”.