34 anni, di cui 25 passati giocando, quella di Sergio Ramos non è solo la carriera di un calciatore che ha vinto tutto ciò che si può conquistare su un campo di calcio: quella del capitano del Real Madrid è l’epopea di un uomo che è stato in grado di diventare un vero e proprio simbolo. Sotto il profilo sportivo, amato a dismisura dai propri tifosi, odiato visceralmente dagli avversari, nel calcio contemporaneo è rimasto uno dei pochissimi capace di trascendere la figura del semplice giocatore e incarnare l’identità di un club: Sergio Ramos è l’essenza più pura e spregiudicata del madridismo.

Dominante, superiore, vincente, Ramos il calciatore però non avrebbe voluto farlo. Ignaro di dove lo avrebbe condotto il binario invisibile del proprio destino, il piccolo Sergio nasce e cresce a Camas, in Andalusia, a pochi chilometri da Siviglia e ha un sogno più grande di tutti: vuole essere un torero. Abbandonerà il sogno, mai l’attitudine. Quella di uomo solo nell’arena resterà un tratto celebrato dopo ogni trionfo, con una bandiera andalusa legata in vita e un drappo rosso sventolato in mezzo al campo tra i compagni in festa.

Sergio Ramos, scende nell’arena

A gettarlo nell’arena giusta sono la mamma e il fratello, intimoriti dall’anima cruda e pericolosa della corrida. Sergio Ramos inizia, così, la propria carriera nelle giovanili del Siviglia, nella cui squadra satellite, il Siviglia Atletico, esordisce da professionista nel 2002-2003, a soli 16 anni. Dopo 31 presenze e 2 gol alla prima stagione, non ancora maggiorenne, Ramos viene promosso nella prima squadra del Siviglia già l’anno successivo e in biancorosso disputerà due stagioni in cui catalizzerà su di sé gli occhi degli addetti ai lavori come uno dei giovani profili difensivi più promettenti del calcio spagnolo. Inizia da esterno, ma un ottimo senso della posizione e un’ottima struttura fisica ne fanno un giocatore duttile, impiegabile anche a presidio delle vie centrali. E’ qui il primo sliding doors della sua carriera: a intralciare i sogni di chi vedeva in lui, talentuosissimo e di sangue andaluso, nato, cresciuto e formatosi calcisticamente a Siviglia, una possibile bandiera del club, si intromette il più prestigioso club spagnolo, che lo strappa ai biancorossi per 25 milioni di euro. Esce dal Sanchez Pizjuan come un possibile idolo, ci rientrerà anni dopo come uno degli avversari più detestati.

Esordisce con il Real Madrid il 31 agosto del 2005, a 19 anni, nella vittoria per 3-2 sul Celta Vigo. Già dalla prima stagione si afferma su ottimi livelli, ritagliandosi un ruolo di primo piano con 33 presenze e 4 gol. I primi trofei arrivano nel 2007 e nel 2008, con la vittoria dei primi 2 Campionati Spagnoli e della Supercoppa di Spagna. Fabio Capello, suo allenatore nel 2006-2007 anno del primo successo nella Liga, dirà di lui: “Quante volte ho detto al mio assistente, Italo Galbiati, di mandare via Sergio Ramos dal campo di allenamento; restava sempre per fare le sedute extra a calciare e saltare di testa. Dicono che ci vuole fortuna per diventare grandi calciatori, ma in realtà ci vuole costanza e lui ne ha avuta tantissima”. Ramos chiude la stagione 2007-2008 con la vittoria del Campionato Europeo, vinto in finale con la Germania, con l’andaluso titolare inamovibile della nazionale spagnola.

2010-2018, gli anni del dominio

Ci sono calciatori per i quali la conquista della vetta, del successo più ambito, è una scalata, una lenta ascesa fino al tripudio finale. Quello di Ramos è stato un vero insediamento. L’11 luglio 2010, a Johannesburg in Sud Africa, la Spagna batte in finale l’Olanda e conquista il primo titolo mondiale della propria storia. Lo spagnolo viene inserito nell’All-Star Team dei mondiali, come uno tra i 4 migliori difensori della competizione. Una vittoria che segnerà il suo standard per gli anni successivi.

In una Spagna basata sull’asse centrale del Barcellona, la quintessenza del possesso palla, Ramos va via via assumendo quella che sarà la cifra stilistica della propria carriera: la “cattiveria”. A dispetto di ottime doti tecniche e di un innato senso della posizione, che potrebbero fare di lui un perfetto interprete del gioco palla a terra blaugrana, Ramos diventa dominante in tutti i fondamentali che si discostano dall’imposizione dogmatica del calcio catalano: supremazia sulle palle aree, strapotere fisico, una rabbia agonistica con pochissimi pari.

Come se Ramos diventasse Ramos per contrapposizione a quella che è l’essenza dell’acerrimo avversario. Già, perché a dispetto delle vittorie conquistate insieme in nazionale (chiuderà il ciclo storico di vittorie delle Furie Rosse la conquista del Campionato Europeo nel 2012), la carriera del capitano del Real Madrid sarà pervasa e scandita dalla rivalità contro quella che è una delle squadre più forti della storia del calcio: quella tra Real e Barcellona, tra Ramos e il Barcellona, è una sfida che non conosce sosta e in cui un avversario normale sarebbe stato semplicemente cancellato. I Blancos, invece, in questa storia ci sono. Non solo: ne hanno scritto pagine indelebili anche grazie al proprio capitano.

Dopo la vittoria della Liga nel 2011-2012 Sergio Ramos giunge al secondo crocevia della sua carriera, quello in cui i confini tra il giocatore e il club diventano infine indistinguibili: il 24 maggio 2014 il Real Madrid gioca la finale di Champions League contro l’Atletico Madrid. Una bella favola quella dei colchoneros, all’inseguimento della prima affermazione della propria storia nella massima competizione europea. Vanno in vantaggio con il gol di Godin nel primo tempo, lo difendono fino al 92′. Poi il destino, del Real e di Ramos, si compie al 93′. Calcio d’angolo dalla destra, a centro area il numero 4 in maglia bianca stacca più alto di tutti e incrocia di testa battendo Courtois. Il Real dilagherà ai supplementari 4-1, su un avversario psicologicamente annientato, e alzerà al cielo la Decima. Contro i rivali dell’Atletico – separati dal Real da una distanza quasi concettuale oltre che sportiva – con un successo storico per uno dei club più prestigiosi del mondo, Sergio Ramos diventa il simbolo del madridismo. “Nella mia carriera ho avuto l’opportunità di vivere momenti unici, uno di questi è senza dubbio quella finale. E’ stato magico” dirà di quella gara.

Negli anni successivi avrà cura di alimentare l’antipatia mostrata dagli avversari nei suoi confronti, e il rispetto dei suoi estimatori, con le cose che meglio lo caratterizzano: gol, gioco duro e vittorie pesantissime. Le reti, spesso segnate in momenti decisivi, saranno oltre 100 in carriera, un numero abnorme per chi ha passato la vita sulla linea difensiva; 26 i cartellini rossi, primato assoluto nella storia del Real, della Liga e della Champions League. Diventerà il recordman di presenze della nazionale spagnola, di cui è capitano. Alzerà al cielo le 3 Champions League del ciclo leggendario del Real dal 2015 al 2018, con annesse vittorie di 3 Coppe del Mondo per Club e 2 Supercoppe Europee. All’alba dei suoi 34 anni Sergio Ramos vede a buon diritto il proprio nome scritto indelebile nella storia del calcio. Per qualcuno è un eroe, per altri il “cattivo” da odiare a ogni costo. Ma a lui importa solo continuare a vincere.