Uno di noi” è un tipico adagio da stadio, uno dei modi più classici attraverso i quali una tifoseria investe un proprio giocatore dell’onorificenza più grande quando si parla di far parte di un gruppo: l’appartenenza. La verità è che spesso i punti di contatto tra il tifoso e il proprio idolo si riducono all’ammirazione, alla riverenza, nel migliore dei casi al rispetto reciproco. Ci sono casi nei quali, però, questo senso di distanza tra le due parti dello stadio, quella tra chi sta in gradinata e chi corre sul terreno di gioco, si annulla completamente e quel ‘uno di noi’ assume una forma viva, vera. Uno di questi casi è senza ombra di dubbio quello di Nicola Berti e del suo legame con San Siro, con l’Inter, con gli interisti. Nella stagione dei record, 1988-1989, segnerà uno dei gol più belli nella storia dell’Inter, la storica cavalcata di 70 metri coast to coast, nella partita di coppa Uefa a Monaco contro il Bayern, conclusa con il pregevole tocco sotto a scavalcare il portiere avversario.

Lungo il corso della sua carriera, che lo ha visto vestire la maglia nerazzurra per 10 anni, dal 1988 al 1998, Nicola Berti ha saputo ritagliarsi un ruolo che nessun altro nel club milanese ha saputo incarnare meglio di lui: i tifosi lo percepivano come uno di loro. Anche chi non si identificava nei suoi modi scanzonati e spesso sopra le righe, in lui vedeva l’amico guascone da cui ti aspetti qualcosa di imprevedibile da un momento all’altro e che alla fine ti risolverà la serata con un colpo di teatro. Che sia questo una cavalcata a tagliare il campo saltando avversari come birilli o una battuta ben assestata ad un avversario, con in volto il sorriso beffardo di chi ne sa sempre una più degli altri.

Sarebbe bastato questo per guadagnarsi la simpatia dei propri tifosi, ma si dà il caso che Berti avesse qualcosa che più di tutto cementifica il senso di appartenenza: uno spiccato, incessante, mai domo, senso dell’avversario. Noi e loro: la dicotomia della sfida. Nessun dubbio, in quegli anni, su chi il popolo interista considerasse loro. Certo, c’era la Juventus, avversaria di sempre, ma era qualcosa di altro, specie in un periodo storico, quello a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, in cui i colori bianconeri hanno vissuto un momento di riassestamento (lo scudetto juventino nel 1994-95 interromperà un digiuno che per i piemontesi durava da 8 anni: per trovare un periodo privo di successi in Serie A di maggiore durata bisogna risalire agli anni ’40).

Berti uomo derby

La vera rivalità per l‘Inter, in quegli anni, era in città. Per Berti, loro sono sempre stati i cugini rossoneri. Non una squadra normale: era il primo Milan di Berlusconi, una squadra leggendaria, destinata a scrivere pagine indelebili della storia del calcio, un’avversaria fortissima e perfetta per esprimere tutto il senso di sfida che Berti portava con sé.

E’ proprio nel derby che Nicola Berti si guadagnerà quel senso di vicinanza al popolo interista che ancora oggi, a 20 anni dal suo ritiro, i tifosi nerazzurri ancora gli riconoscono. E’ lui stesso a descrivere il suo modo speciale di sentire le partite con il Milan, in una lunga lettera inviata al sito ufficiale dell’Inter: “Che storie, i derby. È vero che tutti mi ricordano sempre che il mio gol più bello contro il Milan negli almanacchi figura come autorete di Sebastiano Rossi. Ma in realtà quello che ho nel cuore è quello dell’aprile ’93. Lo racconto sempre: è una canzone, non è un gol. Dura minuti e minuti. Risento, ogni volta, i rumori di San Siro, le urla sul campo. In una sola azione faccio diventare matti Maldini, Baresi e Costacurta. Vado in dribbling, faccio tunnel, subisco fallo, mi prendo una pallonata addosso e anche l’ammonizione. Roba da matti. Sono lì, sotto la Nord, avviso tutti: adesso vi faccio gol. E faccio gol. Berti, sotto la Nord, contro il Milan. Quella è l’Inter!”.

La carriera di Nicola Berti

Gli anni all’Inter saranno il cuore di una carriera calcistica iniziata con le esperienze con Parma e Fiorentina, e saranno quelli in cui Berti si guadagnerà il posto nella nazionale italiana. In maglia azzurra prenderà parte ai Mondiali di Usa ’94, in cui l’Italia verrà sconfitta ai rigori in finale dal Brasile di Romario: Berti fu l’unico giocatore interista della spedizione, in una nazionale infarcita di milanisti (che furono 7, chiamati da uno storico tecnico ex-rossonero, l’allora CT Arrigo Sacchi). “Sacchi non ci dava mai sera libera, dalle 11 di mattina alle 11 di sera a lavorare, io però avevo la soluzione che era la mia casa (Berti aveva una casa a New York, ndr). Lì si giocava alla play e si guardava le altre partite del Mondiale”.

Berti lascia l’Inter nel 1998, anno di arrivo in nerazzurro di Ronaldo il Fenomeno, partendo per l’Inghilterra, destinazione Tottenham: “Non è stato semplice lasciare l’Inter – scrive il giocatore al sito ufficiale della società – Natale ’97, sento Klinsmann per gli auguri. Giocava nel Tottenham, mi dice: “Perché non vieni qui?”. Non scendevo in campo da troppo tempo, uscivo da un periodo complicato. La malattia e la morte di mio papà erano state dure da affrontare, Moratti però mi è sempre stato vicino. Ero diventato solo un uomo spogliatoio. Accoglievo i nuovi arrivati, spiegavo loro cosa fosse l’Inter e fine, poi mi accomodavo in tribuna o in panchina. L’ultima, in Inter-Juventus 1-0, 4 gennaio 1998. Pochi giorni dopo c’era un derby di Coppa Italia. Solitamente sarebbe stata la mia partita. Ricordo, di quei giorni, un solo colore: il grigio del cielo, uguale a quello dei miei sentimenti. Stava svanendo tutto, sotto la pioggia gelida e tra la nebbia che voleva impedire al mio aereo di partire, direzione Londra. Che addio in sordina, per Berti, pensavo. Ero triste, ma era giusto andare”.

Berti parte e con gli Spurs disputa, praticamente due mezze stagioni tra il gennaio 1998 e il gennaio 1999. Dopo aver trascorso sei mesi in Spagna, nel’Alaves, termina la propria carriera con gli australiani del Northern Spirit. Dopo avere chiuso con il calcio, prima di tornare definitivamente in Italia ormai da qualche anno, si è ritirato a vita privata a Saint Barth, minuscola isola delle Antille Francesi: “E’ un’isola lunga venti chilometri e larga sette: volendo si potrebbe girarla ogni mattina facendo jogging. Ma dopo le due operazioni alle ginocchia, mi viene la nausea solo a salire su una cyclette”. Oggi Nicola Berti compie 53 anni.