Appena sbarcato a Roma, durante la conferenza stampa di presentazione nell’agosto 2008, A Jeremy Menez viene chiesto se sia più “un Cassano” o “uno Zidane”. Il francese non ha problemi di personalità, si capisce da come sorride e interagisce con la traduttrice al suo fianco. Con naturalezza, quindi, come un dribbling nello stretto, Menez si affida alla retorica per rispondere: “Cassano è Cassano, Zidane è Zidane”. Non cerca paragoni, non fa parte della sua formazione.

Jeremy, nato esattamente trentatré anni fa a Longjumeau, ci ha messo poco a farsi inglobare all’interno della metropoli della vicina Parigi. Il suo luogo di appartenenza, d’altronde, lo porta stampato dietro la schiena. Si legge “94” sulla maglietta giallorossa di Menez, che al 74’ di Roma Napoli, del 31 agosto 2008, fa il suo debutto in Serie A. Il numero non è casuale, non è l’anno della sua nascita – che è l’87 – quanto quello della Banlieu in cui è cresciuto: Banlieu 94, Parigi, una delle più pericolose.

«Spesso vado troppo lontano, questo è il problema» rivela a France Football, lo scorso aprile. Strano, ovviamente, che lo dica ora che a casa è ritornato, per la terza volta. Che sia Paris Saint-Germain o Paris Fc e basta, poco cambia. Non sarà la Ligue 1 o la Ligue 2 a fargli pensare di essere andato, ancora una volta, troppo lontano. E vista da lontano, la sua storia, iniziata nelle giovanili del Sochaux 20 anni fa, ha vissuto di alti e bassi e si è rivelata essere quasi un rimpianto.

Difficile non crederlo, difficile non pensare che Menez sia effettivamente stato solo Menez, e, purtroppo, questo non sia bastato ad ottenere il massimo. Eppure, questa sarebbe solo una fredda analisi, distaccata quasi dai momenti in cui si è pensato che l’attaccante francese fosse qualcosa di più. Ha provato a dimostrarlo da subito, di avere quel qualcosa in più, cadendo sempre, però, nel momento in cui le circostanze lasciavano presagire il definitivo salto di livello.

Nelle capitali: Roma e poi Parigi

Certamente va riconosciuto a Menez di avere avuto il pregio dell’onestà, anche se forse oggi lo rimpiangerebbe. Ha mostrato il meglio e il peggio, del suo gioco e talvolta pure del suo carattere. Certo, qualche infortunio in meno – e si parla guardando a tutta la sua carriera – non avrebbe guastato. Nella Capitale, però, mostrare troppe facce non è un buon segno: “Città di pazzi” ha detto a Roma, boutade indotta anche da qualche brutto episodio, come quello che vide la sua macchina presa a sassate dai “tifosi”, dopo una sconfitta contro l’Inter nel 2011.

È il segno di una fine, che i soli 12 gol in 113 presenze non bastano a spiegare. Il 25 luglio dello stesso anno, lascia la Roma per 8 milioni e torna a casa, per la seconda volta. A Parigi, al Psg. Sotto la Tour Eiffel, si trova a vivere la stessa dimensione vissuta a Roma, anche se il secondo anno, sotto la guida di Carlo Ancelotti, gioca probabilmente la sua miglior stagione in carriera. «Adoro il suo lato umano» racconta del tecnico emiliano, spiegando come l’allineamento dell’aspetto interiore, piuttosto che quello tecnico, sia stato qualcosa di unico. D’altronde, tecnicamente, a Menez si può spiegare poco.

Le giocate non sono mai mancate, si sa. Quando ti punta dritto per dritto, anche se ha gli occhi incollati al pallone, riesce ad essere imprevedibile fino all’ultimo secondo. Il gol che segna all’Udinese, con la maglia della Roma nel 2010, è la dimostrazione del suo potenziale. Inespresso si dirà, specialmente dopo i tre anni a Parigi, buoni a tratti, ma non a sufficienza da fargli preservare il posto, in un Psg prossimo ad armarsi di stelle.

I 16 gol nella prima stagione con il Milan

Così, da svincolato, torna in Italia, questa volta al Milan. Arriva nel 2014, riparte nel 2016, ma formalmente la sua esperienza dura solo un anno. Ed è un anno proficuo, addirittura più di quello valso il titolo di Francia con Ancelotti al Psg. 16 reti, doppia il suo precedente record in A con la Roma, ma non riesce a trascinare il Milan quanto basti per un piazzamento europeo. E anche a Milano, per quanto segni, reinventato da Inzaghi nel ruolo di falso nueve, sembra mancare della giusta personalità per fare quel passo in più.

Anzi, la sfortuna gli rema pure contro: ad aprile 2015, contro il Genoa, viene espulso per un fallo non commesso da lui. Menez aggredisce verbalmente l’arbitro Piero Giacomelli e si becca quattro giornate di squalifica. A giugno, invece, viene operato ad un’ernia e salta nove mesi della stagione successiva. La sua carriera comincia a vedere il tramonto, a 29 anni.

Il ritorno in Francia

Oggi ne compie 33 e uno sguardo a come è andata la sua carriera mostra un quadro che poteva essere migliore certo, ma anche ben peggiore. Anche dai campi di Ligue 2, dove gioca oggi con la maglia del Paris Fc, al suo terzo ritorno a Parigi. D’altronde, lo disse proprio lui, a La Gazzetta dello Sport nel 2014: “Senza il calcio, sarei in galera. E tra sette anni smetto di giocare”.

Ne sono passati sei da allora, e tutto sembra che voglia essere posticipato ancora di un anno. Quasi a compensare il tempo perso, le occasioni mancate: “Per due anni a Bordeux, nel 2016, ero lì, ma era come non esserci” rivela ancora, guardandosi indietro e pensando a quando il calcio lo abbia fatto ubriacare. No, non in Messico, nei sei mesi del 2018 passati al Club America dove comunque sono entrati in ballo eccessi vari. A Bordeaux erano problemi diversi, personali, dice afflitto, cercando di dare un senso anche al destino. Ormai tutto è passato ed è inutile rimpiangere il passato: oggi Menez festeggia 33 anni.