Per Robert Lewandowski questo non sarà un compleanno come gli altri. Sono 32 anni, oggi, per l’attaccante polacco, ma il regalo più desiderato proverà ad andarselo a prendere tra qualche giorno. Domenica 23 agosto per la precisione, quando col suo Bayern Monaco affronterà il PSG nella finale di Champions League allo stadio da Luz di Lisbona. L’ha inseguita per tanto, la coppa più ambita del calcio europeo, l’ha sfiorata raggiungendo la finale, persa col Borussia Dortmund contro il Bayern Monaco nel 2013, e con le tre semifinali raggiunte con la maglia dei bavaresi.

Mai come quest’anno, però, tutto sembra portare all’epilogo che Lewandowski ha atteso per un’intera carriera: troppo evidente lo strapotere dimostrato dall’attaccante (e da tutta la sua squadra) in questa stagione, nella quale con 55 gol in 46 presenze ha guidato i tedeschi alla conquista di Bundesliga e Coppa di Germania (di 1.87 la stratosferica media di gol a partita, uno ogni 73 minuti, eguagliato il record di Gerd Muller). Al passo con i numeri stagionali il rendimento in Champions League, in cui con 15 gol in 9 partite (almeno una marcatura in ogni gara disputata), si è portato a due reti dal record di Cristiano Ronaldo di 17 gol in una singola edizione, fatto registrare dal portoghese nel 2013-14 con la maglia del Real Madrid.

Lewandowski, il prototipo del numero 9

“Ci sono tre segreti per segnare: concentrazione, allenamento e vietato pensare. In area di rigore abbiamo solo un decimo di secondo per captare, decidere e interagire col pallone. Se pensi troppo a ciò che vuoi fare diventa controproducente, perché il tuo corpo dovrebbe fare la cosa giusta automaticamente”. In questa, che è una sorta di lectio magistralis di Lewandowski, c’è la sintesi di quella che è l’interpretazione del ruolo di un giocatore che, ad oggi, è forse l’attaccante puro, il numero 9, più completo del mondo del calcio.

Colpo di testa, accelerazione nello spazio, dominio fisico, capacità di finalizzazione straordinarie: nel campionario di Robert Lewandowski c’è tutto quello che dovrebbe far parte del bagaglio di un attaccante. E’ il suo mestiere da sempre, fare gol. Lo è dai tempi del Znicz Pruszkow, piccola squadra polacca che, appena diciottenne, trascina dalla terza alla seconda divisione, laureandosi capocannoniere in entrambe le categorie.

Dopo quell’esperienza giovanile si affaccia al grande calcio, ma il filo conduttore della sua vita resta sempre lo stesso: segnare. Tantissimo. A chiunque. Nel 2008 passa al Lech Poznan e nel 2010, a suon di gol, 18 in quella stagione (che gli valgono il titolo di capocannoniere della massima serie polacca), riporta al club un titolo nazionale che mancava da 10 anni.

Passa al Borussia Dortmund subito dopo il trionfo polacco e in 4 anni in giallonero diventa uno dei simboli della società. Segna 103 gol in 187 presenze e contribuisce in maniera determinante alla vittoria di due Bundesliga, una Coppa di Germania e una Supercoppa di Germania.

Il Bayern Monaco nel suo destino

E’ già uno dei profili d’attacco più interessanti del panorama calcistico internazionale quando, nel 2014, passa al Bayern Monaco che lo ingaggia a parametro zero. E’ in Baviera che il polacco esplode definitivamente come autentico fuoriclasse: negli ultimi 6 anni sono 246 i gol segnati in 288 presenze, gol decisivi per la conquista di 6 campionati tedeschi consecutivi, 3 Coppe di Germania e 3 Supercoppe di Germania.

Manca la coppa della consacrazione nell’olimpo degli immortali: in un anno in cui non si assegna il Pallone d’Oro, per il quale sarebbe stato certamente considerato tra i favoriti, l’appuntamento con la storia passa attraverso la finale di Lisbona. Contro di lui Neymar e Mbappé, due avversari degni di un’impresa che avrebbe tutte le caratteristiche per essere ricordata. Dietro di lui un Bayern Monaco che è tra le squadre più forti e complete che si siano viste negli ultimi anni. Davanti a lui la porta avversaria che cercherà di violare come sempre con i suoi gol, con l’obiettivo di scrivere un pagina indelebile nella storia del calcio conquistando un trofeo che fino ad oggi è il grande assente nella bacheca di uno degli attaccanti più forti del mondo.