È un campionato particolare quello del 1980/81, fin da subito. Non c’è una vera e propria corazzata, ma tante buone squadre pronte a lottare. Favorite per il titolo l’Inter, fresca di scudetto appena conquistato, e la Juventus. Invece, stupendo un po’ tutti, accade che la Roma di Liedholm e Dino Viola parte a razzo mettendo le avversarie in fila, senza se e senza ma, sbancando addirittura San Siro alla sesta giornata dopo essere caduta, la domenica precedente, in maniera pesante al San Paolo. Vanno così forte i giallorossi che si presentano da prima della classe alla fine del girone di andata, 1 febbraio 1981, con un punto di vantaggio sui nerazzurri di Bersellini, nel frattempo in piena bagarre in Coppa dei Campioni dalla quale verranno estromessi in semifinale per mano del Real Madrid dopo una doppia gara al cardiopalma.

La Juventus è in ritardo di due lunghezze, appaiata al Napoli di Rino Marchesi, se vogliamo la sorpresa del torneo, con 18 punti. Complice un mese di marzo ricco di scontri diretti e situazioni ingarbugliate, a cinque giornate dalla fine in testa ne rimangono tre: Roma, per l’appunto, Juventus e Napoli, con l’Inter ormai tagliata fuori dai giochi. A quel punto, complice un calendario sulla carta assai abbordabile, sembra che per il Napoli possa essere la stagione giusta. Ma, colpiti dalla classica sindrome da braccino corto, i partenopei si fanno battere in casa dal Perugia già retrocesso e la Roma non è da meno, pareggiando in quel di Ascoli e lasciando via libera alla solita Juventus del Trap, cinica quanto basta per sfruttare occasioni propizie regalate dalla sorte o, in questo caso, dagli avversari.

Sicché il 10 maggio 1981, quando alla fine del campionato mancano duecentosettanta minuti, a Torino va in scena la partita dell’anno: Juventus punti 39, Roma 38. L’avvicinamento alla domenica non fu di quelli “soft”: tensione palpabile, bianconeri senza Tardelli e, oltretutto, privati di Bettega squalificato per i fatti risalenti a Perugia-Juventus di un mese prima, quando i giocatori umbri accusarono nel dopo partita la punta bianconera di averli invitati a far segnare la sua squadra che stava trovando parecchie difficoltà a trovare la via della rete, episodio mai comprovato ma tant’è. In campo le cose non è che vadano meglio, dal punto di vista della tensione intendiamo: botte da orbi, liti, scaramucce.

Insomma, un brutto spettacolo esteticamente parlando, di certo pieno di pathos e batticuore. L’ex arbitro Bergamo, che diresse quella gara, ricorda, ancora oggi, il nervosismo tra i ventidue in campo. Pronti via e Furino molla un calcione tremendo a Falcao: ammonito. Ma gli animi non si placano, così il gioco ne risente e i fischi di Bergamo si fanno sempre più frequenti. Secondo tempo e Furino si ripete: altro calcione, stavolta a Maggiora, altro cartellino giallo e inevitabile espulsione. È il minuto 67, manca una vita alla fine: anche qui Bergamo ricorda che il capitano bianconero, al momento della cacciata dal terreno di gioco, non protestò minimamente uscendo a capo chino.

E veniamo al “fattaccio”, a quel pasticciaccio brutto del Comunale che nemmeno Carlo Emilio Gadda avrebbe saputo descrivere: siamo al settantatreesimo, Bruno Conti dalla trequarti mette un pallone in area, Pruzzo la spizza per eventuali compagni che stanno sopraggiungendo. Uno c’è davvero, si chiama Maurizio Turone, di professione difensore centrale, che fulmina Zoff da non più di quattro metri. È, almeno sembra, il gol della stagione. Bergamo convalida; poi, su indicazione del suo assistente di linea, il signor Sancini di Bologna, annulla: fuorigioco. Il risultato non cambia, finisce zero a zero, la Juventus vince il suo campionato numero diciannove, la Roma recrimina allora come ancora oggi. Il signor Sancini, da parte sua, si è sempre detto convinto della bontà della decisione presa. Certo, eravamo davvero al limite, sta di fatto che nemmeno adesso, 2020, si è riusciti a stabilire se Turone fosse o meno in fuorigioco.

Un campionato perso per una questione di centimetri, come disse all’epoca il presidente giallorosso Dino Viola, con quell’aplomb e quella classe che lo contraddistinguevano. La Roma, comunque, si rifarà due stagioni dopo vincendo, senza fuorigioco veri o presunti, e senza Turone che venne ceduto al Bologna nella finestra di mercato autunnale, il suo secondo scudetto.