Sono passati 56 anni da quel 27 maggio 1964 in cui l’Inter, guidata dal Mago Helenio Herrera, conquistò la prima Coppa dei Campioni della propria storia, battendo al Prater di Vienna il leggendario Real Madrid di Puskas e Di Stefano. Un ideale passaggio di consegne dalla squadra più forte dell’epoca: gli spagnoli negli ultimi 9 anni erano arrivati in finale in 7 occasioni, vincendo per 5 volte la coppa. Per i nerazzurri, dopo lo Scudetto conquistato nell’anno precedente, fu l’inizio di un periodo di successi in Italia e nel mondo, un periodo che sarebbe passato alla storia come quello della Grande Inter.

L’Inter, una squadra giovane

Nel maggio del 1964 l’Inter, campione in carica in Italia, è in piena lotta con il Bologna per bissare il successo della stagione precedente. L’opera di consolidamento da parte di Herrera, giunto a Milano nel 1960, può dirsi conclusa: i nerazzurri sono una squadra solidissima in tutti i reparti, che unisce ad una grande affidabilità difensiva alcuni tra i migliori giocatori da trazione offensiva dell’intero arco degli anni sessanta: Luis Suàrez, Mario Corso e un giovanissimo Sandro Mazzola (appena ventiduenne) su tutti. Mazzola, figlio di Valentino, capitano del Grande Torino e della Nazionale italiana nella seconda metà degli anni 40, è alla seconda stagione giocata con continuità, ed è uno dei protagonisti in Coppa dei Campioni, con 5 gol in 8 presenze.

L’Inter giunge all’atto conclusivo dopo avere regolato Partizan e Borussia Dortmund e aver condotto un percorso senza sconfitte nella fase eliminatoria. La finale, però, è un’incognita: quella italiana è una squadra infarcita di giovani, come Mazzola appunto, e si appresta a giocare la partita della vita contro dei mostri sacri.

Giacinto Facchetti raccontò così le sensazioni della squadra: “Nel Real c’erano giocatori che erano il simbolo del calcio di quegli anni, e per noi che ci trovavamo per la prima volta di fronte questa squadra c’era un risvolto emotivo particolare. Herrera, che aveva già esperienza di questo tipo di partite, riuscì a trasmetterci la fiducia e la calma che dovevamo avere per affrontare il Real Madrid”.

All’ingresso in campo delle squadre l’impatto visivo è impressionante: al Prater sono accorsi oltre 30 mila tifosi italiani, un’enormità per gli standard dell’epoca, e gran parte dello stadio (anche considerati i tifosi locali) parteggia per l’Inter, forte della simpatia dell’outsider, pronto a fare la parte di Davide contro Golia.

La finale: difesa e contropiede

Le prime fasi di gara sono di studio: una punizione dalla distanza di Corso scuote il Real, che però non si scompone. Il tema di fondo nell’impostazione di gara di Herrera è chiaro: attenzione in difesa per sfruttare le ripartenze. Tagnin e Guarnieri vengono piazzati in un’asfissiante marcatura a uomo su Di Stefano e Puskas, i cui movimenti sono limitati al minimo. Emblematico l’episodio nel quale Di Stefano non venne abbandonato da Tagnin nemmeno nel momento in cui si trovò a defilarsi oltre la linea del fallo laterale per allacciarsi le scarpe.

La tattica funziona e l’Inter capitalizza una delle occasioni che le si presentano: l’1-0 giunge in chiusura della prima frazione di gioco grazie ad un’invenzione di Mazzola, che dal limite sinistro dell’area lascia partire un tiro secco che si insacca sotto l’incrocio dei pali, alla sinistra dell’estremo difensore spagnolo, Vicente. “Riuscii a sbloccare il risultato e per esultare feci una capriola – dirà Mazzola – Per me la partita era finita. Avevo fatto gol al Real Madrid. Ricordo che arrivò Suarez e mi disse ‘Oh, guarda che questi ce ne fanno 3 se tu stai qui a giocherellare’”.

La reazione del Real non si fa attendere e nella ripresa i Blancos si riversano in attacco: Puskas sfiora il pari con un tiro ad incrociare dopo avere bruciato sullo scatto Guarnieri, ma il palo salva l’inter. Gli spagnoli pagano però lo sbilanciamento in avanti e l’Inter colpisce in contropiede: Milani approfitta di un errore della difesa madridista mal posizionata, prende palla al limite dell’area e colpisce di potenza verso l’angolino basso. 2-0 Inter.

La gara diventa una battaglia. Al 25’ del secondo tempo il Real accorcia con Felo, sugli sviluppi di un’azione d’angolo. Gli spagnoli spingono in maniera forsennata alla ricerca del pari, l’Inter soffre. La palla che chiude i conti capita nuovamente sui piedi di Sandro Mazzola, ancora in contropiede, con il giovane attaccante nerazzurro abile a rubare palla in pressione sull’ultimo difensore e a battere Vicente d’esterno. E’ la fine.

L’Inter è Campione d’Europa

L’Inter è Campione d’Europa per la prima volta, Mazzola è l’uomo decisivo: “Quando a fine partita Puskas venne a darmi la maglia mi disse ‘Questa è la mia maglia, te la do, ho giocato contro tuo padre e tu sei degno di lui’. Sarebbe potuto succedere il finimondo e non me ne sarei accorto, ero in cielo, ero in paradiso” le parole di Mazzola.

Il triplice fischio dell’arbitro Stoll fa esplodere la gioia interista e i nerazzurri portano in trionfo il loro presidente, Angelo Moratti (padre di Massimo, che da presidente emulerà il successo del padre nel 2010). Dal punto di vista ideale è lì, in quello stadio viennese, che la Grande Inter sorge: negli anni successivi il gruppo di Herrera vincerà due Scudetti, bisserà l’anno seguente il successo in Coppa dei Campioni (1-0 in finale con il Benfica, gol di Jair) e salirà sul tetto del mondo vincendo la Coppa Intercontinentale per due anni di seguito, sempre contro gli argentini dell’Independiente.