L’illusionismo è l’arte di saper rendere reali, tramite trucchi, cose che reali non sono. Chi sono considerati i più grandi illusionisti del nostro tempo? Houdini, David Copperfield e Andrés Iniesta, che proprio oggi compie trentasei anni e che il proprio soprannome, l’illusionista, se lo è guadagnato per meriti di magia sportiva.

Spagnolo di Fuentealbilla, Iniesta è stato il perno del centrocampo del Barcellona e della Spagna Campione d’Europa e del Mondo. È stato il giocatore che più e meglio, negli ultimi venti anni, ha saputo coniugare il concetto di tempo e spazio nel calcio: palla al piede, con una percussione o una finta di corpo, con una pausa o un’accelerazione, Iniesta ha incarnato il centro del gioco di palleggio del Barcellona, da Guardiola in poi.

Col Barcellona: 32 titoli in 16 anni

D’altronde, la sua storia è imperniata sul blaugrana, da quando ad appena 12 anni – nel 1996 – entra nella Masia del club catalano. Ci entra giovanissimo, quasi un bambino, e vi uscirà poi ventidue anni dopo, nel 2018, come uno dei migliori giocatori della storia del club. Un’impresa non da poco, specialmente per chi ha condiviso parte della sua carriera accanto a Lionel Messi: riuscire a non perdere brillantezza, finendo solo raramente nell’ombra, accanto al più grande non solo del club, è stato un tratto distintivo del fuoriclasse Iniesta, idolatrato dal proprio pubblico e stimato anche dai tifosi avversari.

Oggi, l’illusionista, nasconde il pallone sotto le gambe dei giapponesi, al Vissel Kobe, andando nuovamente contro le leggi della fisica, con la scelta di chiudere la carriera proprio là dove sorge il sole. Dall’estremo Levante ha fatto perdere le sue tracce, sfilando per l’ultima volta davanti ad un pubblico che lo ha sempre ammirato da distante. Ma la traccia, unica e incancellabile, che ha lasciato sul calcio europeo, resta ancora vivida sul terreno della storia.

Un giocatore che riusciva a mettere in pausa il gioco e a farlo ripartire a proprio piacimento, in termini di “quando” e “a che velocità”, a Barcellona lo rimpiangono tutt’ora, cercando di incastrare accanto al redivivo Sergio Busquets qualcuno che possa compensare l’assenza di Don Andrés.

Il gol allo scadere contro il Chelsea, nella semifinale di Champions del 2009, e l’assist per Samuel Eto’o nella finale della stessa edizione, contro il Manchester United, a suggellare un quinquennio dorato con la leggendaria stagione dei 6 titoli del Barcellona in un anno solare. In pochi hanno vinto quanto Iniesta, tra il 2008 e il 2012 (a fine carriera in totale saranno 9 i campionati spagnoli conquistati dal centrocampista), a cui si va poi ad aggiungere, come corollario, il secondo triplete con il Barcellona, non più di Pep Guardiola, ma di Luis Enrique, nel 2014-2015. Oltre ai successi con il Barça, poi, ci sono anche quelli con la Spagna.

Iniesta campione con la Spagna

Quello che ha rappresentato la Spagna nel mondo del calcio tra il 2008 e il 2012 è stato un’ espressione di onnipotenza che solo il Brasile di Pelè ha saputo superare. Merito della generacion dorada, dei vari Sergio Ramos, Piquè, Villa, David Silva, Xavi e, ovviamente, Iniesta. Difficile trovare uno migliore degli altri, tra i tanti che sono stati menzionati e quelli che sono rimasti esclusi dal breve elenco. La Spagna ha allineato gli astri, ma ogni carro, maggiore e minore, ha una stella polare come riferimento. E quello è stato Iniesta, senza dubbio. È stato il giocatore che meglio di tutti ha incarnato l’espressione di uno stile di gioco che era diventato nazionale.

Nel 2008, l’anno della vittoria del primo Europeo (replicherà nel 2012), sotto la guida di Luis Aragonés, è proprio Iniesta l’ago della bilancia della Spagna. Nelle partite più complicate della competizione, contro la Grecia ai gironi (unico svantaggio di tutto l’Europeo, 1 a 0 al primo tempo), contro l’Italia ai quarti e contro la Germania in finale, il tecnico riserva sempre due appunti ad Iniesta all’intervallo. Aragonés lo prende da parte, talvolta anche di fronte a tutto il gruppo, chiedendogli più movimento. Non dice tanto dove, quanto vuole che Iniesta sia libero di farlo. Perché sia palla al piede sia come rapidità di pensiero, nessuno lo eguaglia.

C’è un Mondiale poi, due anni più tardi, che porta la sua firma tanto quanto – forse – avrebbe dovuto essere anche per il Pallone d’Oro consegnato in dicembre. Siamo nel 2010: con una rete nei tempi supplementari beffa l’Olanda e porta per la prima volta la Spagna sul tetto del mondo. A fine anno, però, il famoso riconoscimento di France Football viene dato ancora a Lionel Messi, quasi a voler sottolineare una differenza che nessuno ha mai messo in discussione. Ecco, forse, il trofeo che è mancato di più, quello che avrebbe legittimato ulteriormente una carriera da fuoriclasse assoluto.

Centrocampista simbolo di una generazione

Solo Andrea Pirlo ha rappresentato, per universale riconoscimento, al pari di Iniesta una vera e propria era: c’è un prima e un dopo. E così come la Juventus, per non dire addirittura il Milan, si guardano indietro rimpiangendo un giocatore proprio in quella posizione, anche al Barcellona succede. Quando si è abituati al meglio, si fa fatica a sapersi adattare: ci sono giocatori unici che, eppure, sono riusciti a modellare sulla propria unicità l’idea che abbiamo di un determinato ruolo. Se pensiamo ad un regista pensiamo a Pirlo, così come se pensiamo ad una mezzala tuttofare viene in mente Iniesta: è sbagliato, perché deluderà sempre ogni aspettativa, ma è anche un necessario riconoscimento a tutto quello che ha dato.