Gaetano Scirea è uno dei quei personaggi che hanno saputo guadagnarsi stima unanime e indiscussa, non solo da parte dei propri tifosi, ma del mondo del calcio a tutto tondo: uomo simbolo per la Juventus, con la cui maglia ha vinto tutto in Italia e nel Mondo, avversario tra i più rispettati da parte di tutte le altre squadre. Seppe coniugare al suo profilo di sportivo di altissimo livello – insieme a Giacinto Facchetti e Franco Baresi è riconosciuto come uno dei giocatori più forti della storia nel suo ruolo, il libero – a qualità umane che ne hanno fatto un esempio. Leader silenzioso, fece della correttezza e dello stile i tratti su cui fondare la sua autorità.

Gli inizi con l’Atalanta

Nato a Cernusco sul Naviglio il 25 maggio del 1953, Scirea muove i primi passi nel mondo del calcio con l’Atalanta: Giovanni Crimella, dirigente della società bergamasca che agiva in quella che oggi potrebbe essere identificata come l’area scouting, lo scopre nella Serenissima, squadra dell’hinterland milanese, e lo porta nel settore giovanile della Dea.

In nerazzurro matura come calciatore: ha un grande senso del gioco e una prestanza fisica che non svilisce l’eleganza. Per la sua capacità di impostare l’azione e dettare i tempi della manovra viene impiegato a centrocampo, ruolo nel quale si ritaglia uno spazio nell’undici atalantino, con cui esordisce in Serie A nel 1972.

L’Atalanta retrocede in B e al termine della stagione ’73-’74 decide per la sua cessione. Sul ragazzo c’è la Juventus. A raccontare dell’approdo in bianconero di Scirea è Giampiero Boniperti, allora presidente juventino: “Con l’Atalanta avevamo un rapporto corretto, leale e con Achille Bortolotti, il presidente, eravamo amici. Quando abbiamo concluso gli dissi di mandarmelo, per conoscerlo e portare a termine il contratto. Il presidente mi disse ‘non ho mai portato un mio giocatore ad un club che lo ha acquistato, ma lui te lo porto io di persona. E’ un ragazzo che non ha pari in quanto a qualità, sia umane che sportive’”

Le caratteristiche: eleganza e tempismo

Con la Juve viene quasi immediatamente riconvertito in libero dal tecnico di allora, Carlo Parola, alla ricerca di un degno sostituto di Sandro Salvadore, prossimo al ritiro. In quel ruolo, dopo un iniziale periodo di adattamento, compie una maturazione calcistica che lo porterà a diventare uno dei più forti del mondo.

Diventa ben presto una delle armi vincenti nello scacchiere bianconero: in un periodo in cui l’azione era solita iniziare con il lancio lungo del portiere, la sua abilità tecnica permette alla Juventus di imbastire un tipo di calcio più ragionato, partendo nell’impostazione di gioco dal basso. Difende in maniera pulita (impressionante la statistica di zero cartellini rossi in carriera) forte di un grande senso del tempo di intervento, che gli permette di posizionarsi davanti all’attaccante, cosa atipica per il canonico modo di interpretare il ruolo di libero.

Le sue ripartenze, inoltre, sono un valore aggiunto: “Era anche molto veloce, quando si proponeva noi attaccavamo con Gentile e con Cabrini – ricorda Sergio Brio, suo compagno di reparto per un decennio – e lui faceva il centrocampista aggiunto”.

Le vittorie con la Juventus e la Nazionale

Classe cristallina, attaccamento alla maglia, grande professionalità: per i tifosi della Juventus è un idolo, amore che si compie con la naturale successione a Dino Zoff, uno dei suoi più grandi amici, nel ruolo di capitano bianconero. “C’era un grande feeling tra di noi – dirà il portiere – non eravamo due chiacchieroni, ma bastava poco per intenderci”.

Con Zoff condividerà, oltre ai numerosi successi con la Juventus, la gioia più grande: la vittoria del Mondiale del 1982. Scirea risultò determinante nella cavalcata degli Azzurri di Bearzot, disputando un torneo su standard altissimi.  Franco Baresi, destinato a diventarne il degno erede nel ruolo, racconta: “Ricevette un giallo all’inizio di quel mondiale e io sapevo che se fosse stato ammonito di nuovo sarebbe scattata la squalifica e avrei giocato io. Beh – racconta sorridendo – ho sperato che questo non accadesse. Sostituirlo e giocare come lui in quella squadra sarebbe stato molto difficile”.

Una stima piena, quella da parte di Baresi: “Quello che gli ho sempre ammirato e che avrei voluto rubargli è quella padronanza, quell’eleganza. Riusciva a togliere la palla all’avversario senza che questo se ne accorgesse. E inoltre segnava, cosa che a me è mancata. Cercavo di captare e replicare queste sue qualità ”.

Dal trionfo in Azzurro a quelli in bianconero, colori coi quali, nei 14 anni sotto la Mole, Scirea vince 7 Scudetti, 2 Coppe Italia, una Coppa Uefa, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea, una Coppa Intercontinentale e la Coppa dei Campioni del 1985, quella tristemente famosa per i fatti dello stadio Heysel, in cui persero la vita 39 tifosi bianconeri.

Il tragico addio: l’incidente in Polonia

Dopo il suo ritiro dal calcio giocato, nel 1989, la Juventus gli offre subito un posto come allenatore in seconda del suo ex compagno Dino Zoff, al secondo anno in panchina. E’ proprio durante un incarico nella sua nuova veste, in una trasferta in Polonia per stilare il report sui prossimi avversari di Coppa Uefa, il Górnik Zabrze, che Scirea è vittima di un incidente stradale. Muore a soli 36 anni, è il 3 settembre del 1989.

La notizia giunge in Italia nelle ore successive e l’allora conduttore della Domenica Sportiva, Sandro Ciotti, interrompe la diretta per darne comunicazione con queste parole: “È inutile spendere parole su un uomo che si è illustrato da solo per tanti anni su tutti i campi del mondo, che ha conquistato un titolo mondiale con pieno merito e che era un campione non soltanto di sport ma soprattutto di civiltà”.

Dall’anno successivo una delle due curve dello stadio della Juventus, il Delle Alpi prima, l’Allianz oggi, porta il nome di Gaetano Scirea.