Tra le pieghe della narrazione sportiva il tema dell’occasione mancata, del poteva ma non è stato, è un filone che annovera personaggi e storie irripetibili. Quella di Corrado Orrico è certamente una di queste: per molti un genio della tattica, un innovatore, la risposta dell’Inter al colpo che il Milan fece pochi anni prima con Sacchi. Orrico giunge all’apice a cui possa aspirare un allenatore di calcio, una grande di Serie A, ma vede il suo sogno esaurirsi in una fiammata. Sei mesi, il tempo di un girone di andata, in cui consegnerà però al racconto sportivo spunti interessantissimi, primo tra tutti quello legato al metodo di allenamento da lui inventato per sviluppare la reattività dei giocatori, la gabbia, prima di lasciare, di fronte al fallimento del proprio progetto, della propria utopia forse, con l’orgoglio e la dignità che tutto l’ambiente non ha mai smesso di riconoscergli.

Gli inizi: allenatore a 26 anni

Nato il 16 aprile 1940 a Massa, ha solo 26 anni quando siede per la prima volta sulla panchina della Sarzanese. Orrico abbandona subito il calcio giocato per dedicarsi al lavoro di allenatore: fa gavetta nelle serie inferiori in D e C2 e si distingue con la Carrarese, squadra che il tecnico toscano prende in D e porta fino agli spareggi per la C1.
La sua popolarità cresce e l’Udinese gli affida la sua prima panchina in Serie A, nella stagione 1979-80. L’esperienza si rivela avara di gioie (2 sole vittorie in 22 partite) e fa quindi ritorno alla Carrarese con cui conquista la C1.

L’anno della svolta è il 1990: da due anni è alla Lucchese, che ha prima portato in Serie C e successivamente in Serie B. Un doppio salto che quasi si trasforma in triplo, con la Serie A sfumata per un soffio nella terza stagione (i rossoneri chiuderanno sesti nella serie cadetta). La Lucchese vola e le voci su un tecnico visionario che allena i propri giocatori con tecniche innovative, mai viste, convince l’allora presidente dell’Inter, Ernesto Pellegrini, a puntare su di lui. Corrado Orrico siederà sulla panchina nereazzurra nel 1991 portando con sé la sua idea di calcio, fondata sul gioco a zona, e quello che diventerà celebre come il suo personale metodo di allenamento: la gabbia.

Gli anni all’Inter e “la gabbia”

La scelta di Orrico da parte di Pellegrini acquisì una lettura mai confermata ma verosimile: quella del tecnico senza passato da calciatore, con una carriera da dominatore delle serie inferiori e idee calcistiche innovative non era nuova a Milano: nell’altra sponda calcistica della città, al Milan, Arrigo Sacchi aveva appena portato a termine la sua rivoluzione. Replicare le fortune rossonere – i rossoneri erano recenti vincitori di due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali e Sacchi fresco CT della Nazionale – utilizzando lo stesso canovaccio, sarebbe stato un sogno.
La dirigenza dell‘Inter sceglie Orrico per dare una sferzata all’ambiente nel dopo Trapattoni, di ritorno alla Juventus dopo i cattivi risultati di Maifredi.

Leggenda vuole che il primo acquisto richiesto da Corrado Orrico alla dirigenza nerazzurra fosse un muratore. Serviva per costruire la gabbia, una struttura di allenamento con le sponde, che permetteva di condurre sessioni senza pause. Con la palla sempre in campo il gioco non si fermava mai, cosa che nelle intenzioni dell’allenatore era necessaria per fare abituare i giocatori a un calcio veloce, facendogli sviluppare l’intensità necessaria per interpretare al meglio le sue richieste sul gioco a zona.

1991-92: una stagione da dimenticare

È l’Inter dei tedeschi, Brehme, Matthäus e Klinsmann, ma l’impressione, fin dalle prime partite della stagione 1991-92, è che le idee di Orrico poco attecchiscano su una squadra forgiata sul pragmatismo trapattoniano. Avvio lento in campionato e una clamorosa eliminazione in Coppa Uefa, di cui l’Inter era detentrice, per mano del Boavista. Seguono una serie di pareggi e, mentre l’Inter arranca, il Milan di Fabio Capello vola. Nel derby giunge un insperato pareggio, 1-1 con gol di Van Basten e Klinsmann, poi la sconfitta 2-1 contro la Juve dell’ex Trapattoni.

È il 19 gennaio 1992, ultima giornata del girone di andata, quando i nerazzurri affrontano l’Atalanta a Bergamo: i favori del pronostico sono per l’Inter, nonostante i 18 punti in 15 giornate portati a casa dalla compagine di Orrico raccontino di una squadra che sta viaggiando ben al di sotto delle attese iniziali. L’Inter perderà 1-0, segnando la fine dell’esperienza del tecnico, che a fine partita rassegnerà le dimissioni: “Sono io il colpevole, mi assumo tutte le responsabilità di questa situazione, ho fallito io e non l’idea che avevo e che ritengo tuttora valida per questa squadra”. Dopo 5 vittorie, 8 pareggi e 3 sconfitte Corrado Orrico lascia l’Inter: “Non mi importa di essere ricordato come quello che ha fallito – dirà tempo dopo – solo gli stupidi non sbagliano mai. Ho lasciato l’Inter con un gesto di coerenza: l’allenatore è un capo, se non riesce a far funzionare la squadra, giusto che se ne vada. In 26 anni che alleno non sono mai stato cacciato, me ne sono sempre andato io”.

Allenerà, senza exploit, per altri 11 anni, girando l’Italia su varie panchine tra cui quelle di Avellino, Siena, Alessandria e delle “sue” Lucchese e Carrarese. Chiuderà nel 2013 con il Gavorrano, per poi dedicarsi a tempo pieno all’attività di commentatore sportivo. Oggi Corrado Orrico compie 80 anni.