Quella andata in scena all’Old Trafford di Manchester il 28 maggio 2003 non può essere considerata una semplice partita. Quel Milan-Juventus in finale di Champions League è stata per il calcio italiano una delle partite più importanti di sempre nel torneo continentale: la prima finale tra due squadre italiane (la seconda tra due club dello stesso paese, dopo Real Madrid-Valencia del 2000), ma soprattutto l’atto conclusivo, nel palcoscenico più importante di tutti, quello europeo, della sfida tra le due squadre egemoni in Italia nel decennio precedente.

In gioco, oltre la coppa, la possibilità di scacciare i propri demoni: quelli della Juve, legati alle ancora brucianti finali perse con Borussia Dortmund e Real Madrid nel ’97 e nel ’98, e quelli del Milan, che in finale non ci arrivava da quasi un decennio: “Siamo tornati in finale dopo 9 anni – dirà Paolo Maldini – molti compagni non erano mai stati in una finale di Champions League: ho dovuto fingere di essere la persona più tranquilla del mondo. Invece dentro di me avevo il fuoco. Ho dovuto prendere delle pastiglie per dormire”.

Le semifinali: eliminate Inter e Real Madrid

La finale tra due italiane è stata il sigillo di una competizione nella quale mai come nel 2003 il calcio nostrano è stato in grado, con 3 squadre nelle prime 4, di imprimere il proprio marchio. In semifinale, infatti, il destino fece incrociare Milan e Inter in un’altra sfida che sarebbe passata alla storia della Champions.

Una vera beffa, per i colori nerazzurri, venire eliminati con due pareggi in un doppio confronto in cui il concetto di “casa” e “trasferta” furono solo una convenzione. La sorte ha voluto che lo 0-0 dell’andata fosse formalmente in casa del Milan, mentre l’1-1 del ritorno (coi gol di Shevchenko e Martins) in casa dell’Inter.

La Juventus, invece, trovò sul suo cammino la squadra che per identità e filosofia di gioco può essere considerata la meno “italiana” del torneo: il Real Madrid. Quel Real Galactico infarcito di stelle (Ronaldo, Zidane, Raul e Figo tra gli altri) era forse l’avversaria più temibile del tabellone, ma per i colori bianconeri rappresentò anche l’opportunità di cancellare sul campo la finale persa nel ’98 a causa del controverso gol di Mijatovic.

La squadra di Lippi perse 2-1 in Spagna, ma ribaltò le sorti dell’incontro con una prova monumentale a Torino, imponendosi per 3-1. Oltre ai gol, però, le cronache della partita registrarono un altro fatto cruciale: a pochi minuti dal fischio finale, a qualificazione ormai acquisita, un diffidato Pavel Nedved si fece ammonire per un fallo veniale a centrocampo, compromettendo con una squalifica la sua partecipazione alla finale, un’assenza che per molti risulterà determinante.

Milan e Juventus: la finale

E’ il 28 maggio 2003: nel Teatro dei Sogni, l’Old Trafford di Manchester, Juve e Milan si giocano la Champions League. Camoranesi è il prescelto da Lippi per sostituire Nedved, Del Piero e Trezeguet a guidare l’attacco. Nel Milan Ancelotti conferma la squadra tipo: quel 4-3-1-2 con Rui Costa alle spalle di Inzaghi e Shevchenko.

Partita brutta, per gli amanti del calcio spettacolo, uno spettacolo per gli amanti del calcio tattico. Le squadre gestiscono la gara senza scoprirsi e nell’arco della prima frazione di gioco i sussulti sono sostanzialmente solo due: il primo è un gol annullato a Shevchenko per un netto fuorigioco di Rui Costa, il secondo è un’incornata in tuffo di Inzaghi miracolosamente respinta da Buffon.

Nel secondo tempo Antonio Conte subentra al posto di Camoranesi e in 45 minuti dimostra chi sarebbe dovuto essere il sostituto di Nedved: lo juventino mette in campo una prestazione maiuscola in entrambe le fasi di gioco, si muove come nessun altro e crea la migliore occasioni gol della ripresa, colpendo anche una traversa.

La gara è una battaglia spesso combattuta in pericolose mischie d’area, ma il risultato regge fino al novantesimo. Nemmeno nei supplementari le sorti del match si sbloccano: la finale di Champions si decide ai rigori. Ed è qui che salgono in cattedra i due portieri, nella sequenza che assegna il titolo: Trezeguet-Dida para, Serginho-gol, Birindelli-gol, Seedorf-Buffon para, Zalayeta-Dida para, Kaladze-Buffon para, Montero-Dida para, Nesta-gol, Del Piero-gol…e sul dischetto va Shevchenko.

L’inquadratura della telecamera sui suoi occhi, che guardano l’arbitro e poi, dopo un cenno della testa al fischio del direttore di gara, la porta, diventeranno storia. “Era la prima finale che giocavo – dirà Sheva – ed è stata la partita più importante della mia vita. Non dimenticherò mai quei 12-15 secondi in cui da metà campo sono andato verso il pallone per tirare l’ultimo rigore”. L’ucraino parte e allarga il piatto destro: Buffon spiazzato, il Milan è Campione d’Europa per la sesta volta.

L’immagine finale è quella del tripudio rossonero, Shevchenko che corre ad abbracciare Dida, Ancelotti che corre in campo nella serata della sua rivincita contro la sua ex squadra e capitan Maldini che alza la coppa al cielo di Manchester, nella notte più italiana della storia della Champions.