Fabio Capello compie oggi 74 anni. Una vita, o meglio, tre vite, dedicate al calcio. L’ultima in ordine cronologico, quella che lo vede in veste di opinionista sportivo, è l’hobby del buen retiro. Le altre due raccontano l’ascesa di un uomo partito da Pieris, un piccolo paese in Friuli Venezia Giulia, che prima da calciatore poi da allenatore ha conquistato l’Italia e l’Europa del pallone. 4 Scudetti e 2 Coppe Italia vinte con le scarpette chiodate ai piedi, con Juventus, Milan e Roma negli anni ’70, le stesse squadre che segneranno il suo percorso da tecnico, nel quale arriverà ad essere Campione d’Europa col Milan nel 1994, e che gli apriranno le porte delle panchine del Real Madrid e di due Nazionali, quelle di Inghilterra e Russia.

Fabio Capello, il sergente di ferro

Di indole schiva e dal piglio pragmatico, nell’ambiente viene ricordato per la severità dei suoi metodi e un’inflessibilità professionale tale da fargli guadagnare il soprannome di Sergente di ferro.
Per fare il metro di quanto possano essere verosimili le voci che circolano sulla sua durezza, sul suo rigore, e sulla ferrea imposizione della propria autorità, c’è una testimonianza che più di altre rende bene l’idea: è quella di un altro personaggio non certo celebre per i sorrisi elargiti, Zlatan Ibrahimovic (che da Capello è stato allenato dal 2004 al 2006 alla Juventus).

Nel suo libro Io, Ibra, lo svedese descrive così il tecnico friulano: “Quando Capello si arrabbia sono pochi quelli che osano guardarlo negli occhi, e se ti offre una possibilità e tu non la sfrutti puoi anche andare a vendere salsicce fuori dallo stadio. Nessuno va da lui a parlargli dei suoi problemi. Capello non è tuo amico. Non chiacchiera con i giocatori, non a quel modo. Lui è il sergente di ferro, e quando ti chiama in genere non è un buon segno. D’altro canto non puoi mai sapere. Lui distrugge e costruisce”.

La carriera di Capello

Dopo la fugace parentesi del 1987, in cui era subentrato a Nils Liedholm, esonerato a stagione in corso, la carriera di Capello prende il via nel 1991. La scelta di un profilo come il suo per la panchina di un Milan protagonista assoluto di quegli anni – era il leggendario Milan di Arrigo Sacchi, fresco vincitore di due Coppe dei Campioni e di due Coppe Intercontinentali – aveva destato non pochi dubbi in chi in lui vedeva un ex calciatore, vincente sì, ma senza alcuna esperienza di gestione di uno spogliatoio. Men che mai di uno spogliatoio come quello, infarcito di Palloni d’Oro, Campioni del Mondo e fuoriclasse in ogni ruolo.

Capello inizia la propria avventura milanista mantenendo un basso profilo, ma mette mano alla squadra in maniera importante. Rivede il metodo di gestione dei giocatori, amministrati con una forma di turnover (concetto non propriamente comune per l’epoca) e impone la propria autorità in maniera graduale. Sono sufficienti 9 mesi perché le critiche vengano meno: vince lo Scudetto al primo anno e non si ferma più. Nelle cinque stagioni sotto la sua gestione vince 4 Campionati, una Champions League (arrivando per altro in finale in altre due occasioni, perdendo in entrambe 1-0 con Olympique Marsiglia e Ajax) e una Supercoppa Europea.

Uno dei giocatori la cui maturazione ha maggiormente giovato dall’opera di Capello, ovvero Zvonimir Boban, lo ricorda così: “Capello ha i suoi metodi, non sono mai uscito a cena con lui e credo non l’abbia fatto nessuno di noi, però giudico l’allenatore e sui risultati non c’è nulla da dire. Capello sa come tenere in pugno le situazioni difficili”.

Lascia il Milan nel 1996 per approdare al Real Madrid, reduce da un’annata decisamente al di sotto delle aspettative, con il quinto posto della stagione precedente. Pronti via e Capello porta in Spagna Roberto Carlos, strappandolo all’Inter in uno degli affari calcistici più sciagurati della storia nerazzurra, e vince il titolo al primo anno anche in questa nuova realtà. L’amore però dura poco, complici tensioni con la dirigenza del presidente Sanz, e fa ritorno a casa, nel suo Milan.

Lo Scudetto con la Roma, poi la Juventus

Come già era avvenuto con Sacchi, però, l’esperienza di ritorno è deludente e lascia dopo un solo anno. Il rilancio ha i colori giallorossi della Roma. E’ una Roma che veleggia non senza tensioni interne, ma il collante dell’autorità del capo la tiene insieme. Una squadra infarcita di campioni, da Totti a Gabriel Omar Batistuta, Emerson, Cafu e Vincenzo Montella che patisce molto il proprio tecnico, a causa delle reiterate panchine, ma che dà un apporto fondamentale alla causa. Alla fine della stagione 2000-2001 è Scudetto, un titolo che a Roma mancava da 18 anni.

A chiudere il cerchio delle squadre che hanno segnato la sua vita di calciatore prima e di allenatore poi, dopo Milan e Roma, ecco la Juventus. A Torino vince due Scudetti, poi spazzati via dalla bufera di Calciopoli, titoli che però il tecnico non disconoscerà mai: “Io ho vinto quei titoli sul campo, ce li hanno tolti è vero, ma le medaglie le ho sempre, sono in un baule in cantina”. Lo scandalo che travolge la Juve di Moggi è occasione per cambiare nuovamente aria, per un altro ritorno, stavolta sulla panchina del Real Madrid, in cui vince nuovamente la Liga nel 2007.

Prima del ritiro, le avventure con le nazionali: con l’Inghilterra prima, con cui disputa i Mondiali sudafricani nel 2010 giungendo agli ottavi di finale, con la Russia poi, portata ai Mondiali del 2014 in Brasile, senza però superare il girone eliminatorio.

La toccata e fuga in Cina, sulla panchina del Jiangsu Suning, è l’ultima di una carriera da allenatore che conta 13 trofei nazionali e internazionali.