Il 23 maggio del 1991, allo stadio Olimpico di Roma, più di 80 mila spettatori fremono per la partita d’addio di Bruno Conti. Formalmente, un’amichevole. La stagione si è appena conclusa, esattamente il giorno prima, il 22 maggio. Per la Roma è stato un epilogo amaro, con l’Inter che trionfa in Coppa Uefa proprio all’Olimpico: non basta il gol di Ruggero Rizzitelli all’81’ del ritorno per ribaltare il 2 a 0 dell’andata. In quell’occasione, sugli spalti ci sono 71 201 spettatori paganti, una decina di migliaia in meno di quanti ce ne saranno ventiquattr’ore dopo, per dire addio a quel ragazzo di Nettuno che per sedici anni ha vestito la casacca giallorossa.

La passione per il baseball

Conti, nel’90-’91, ha giocato appena una partita, ma nella sua carriera con la Roma è sceso in campo 401 volte, segnando 47 gol. Non male, per un ragazzo che è stato costretto a scegliere in adolescenza se diventare un campione di calcio o un campione di baseball. Sdoppiandosi tra rettangolo e diamante, Conti riesce ad esordire anche in Serie A di baseball, con la maglia del Nettuno Baseball City. È un abile lanciatore mancino, tanto che viene notato dall’Università di Santa Monica, in California. Bruno deve scegliere tra un futuro in Major League e la possibilità di giocarsi le sue carte con la Roma: sceglie la seconda, per volere paterno a cui oggi, in tanti, dicono grazie.

La Roma nel suo destino

D’altronde, il papà è un romanista alquanto passionario, tanto che quando Bruno passa in prestito al Genoa, non gli rivolge la parola per un paio di mesi. È il ’75-’76, quando Conti scende di categoria, in Serie B, per provare a smentire gli scettici che non credono nel talento del giovane ventenne. In Liguria si trova bene, gioca un campionato intero da titolare e torna a Roma con qualche convinzione in più: non troppe, ancora, tanto che due anni dopo ha ancora bisogno di una stagione in rossoblù.

Nel 1979, però, ritorna definitivamente a Roma e “giura” amore eterno, almeno fino al 23 maggio ’91. Improvvisamente, in Italia si riscopre un’ala talentuosa, abile in dribbling, veloce, ma specialmente, ambidestra. Conti è in grado di arrivare al cross o saltare l’uomo, prendere tempo e dare verticalità all’azione, giocando indistintamente tanto di destro quanto di mancino. Un grandissimo potenziale, in 170 centimetri scarsi. Ci mette poco a prendersi l’amore della città, oltre ai primi trofei. Aveva già vinto il campionato di B nel suo primo anno al Genoa, ma alla Roma comincia a fare sul serio, incasellando cinque Coppe Italia tra il ’79 appunto ed il ’91, che ne chiude la carriera. Stagione magica, per Bruno, è però quella del 1982-1983, quella di Mondiale e Scudetto in successione.

La vittoria Mondiale e lo Scudetto

Tutto comincia nell’estate dell’82, anche se a dir la verità, bisogna partire due anni prima. Bruno Conti entra nel giro della Nazionale italiana nel 1980, voluto da Enzo Bearzot e allevato calcisticamente dal laterale della Juventus Franco Causio. Il figlioccio di Causio, come viene chiamato Conti, ne prende il posto in fretta, tanto che al Mondiale di Spagna del 1982, è lui il titolare.

Paolo Rossi vincerà il Pallone d’Oro, ad incoronare un Campionato del Mondo da capocannoniere, ma il miglior giocatore del percorso dell’Italia fino a Madrid fu Bruno Conti, come ebbe a dire anche Pelé. Il soprannome Marazico è il souvenir che Conti si porta indietro dalla Spagna, dopo una finale, contro la Germania Ovest, che è la ciliegina sulla torta di un torneo perfetto. Conti entra in ogni azione pericolosa dell’Italia, si procura il rigore fallito da Cabrini, partecipa al 2 a 0 di Tardelli e riesce pure ad essere decisivo nel terzo sigillo definitivo di Altobelli. Insomma, Marazico.

Al Bernabeu, l’11 luglio dell’82, c’erano 90 mila spettatori. Quasi un anno dopo, il 15 maggio ’83, all’Olimpico ce ne sono 65 mila per festeggiare la vittoria dello Scudetto, il secondo a quarant’anni dal primo. È la Roma di Falcao e Pruzzo, di Nils Liedholm e Di Bartolomei, ma anche di Bruno Conti, il giocatore di baseball mancato che ora viene chiamato Sindaco de Roma dai suoi tifosi festanti.

La delusione in Coppa dei Campioni

Bruno però, conosce l’ambiente e sa che la storia della società Capitolina è costellata anche da cocenti delusioni. Una, tra le più grandi, lo vede anche protagonista. La Roma Campione d’Italia inanella vittorie anche l’anno successivo in Coppa dei Campioni, riuscendo ad arrivare sino alla finale. Già in semifinale, i giallorossi riscrivono una parte di storia, eliminando il Dundee dopo una mirabolante rimonta. Il 2 a 0 rimediato in Scozia viene spazzato via dalla doppietta di Pruzzo e dal rigore di Di Bartolomei a Roma. Conti segna l’1 a 0 momentaneo, che però viene immediatamente annullato per un fuorigioco passivo: come se niente fosse, va a battere il corner poco dopo, che vale l’incornata per la prima rete di Pruzzo.

Una partita che lascia il segno, ma che si scontra con il destino quando, nella finale secca all’Olimpico contro il Liverpool, Conti sbaglia il secondo rigore della lotteria finale: insieme all’errore di Graziani, risulterà decisivo per il successo degli inglesi. In quella partita, la Roma perde la sua grande occasione e ne pagherà le conseguenze negli anni successivi, non riuscendo più a raggiungere le vette del biennio ’82-’84, contrassegnato anche dal dualismo con la Juventus.

L’addio al calcio giocato

La carriera di Conti arriva così a concludersi il 28 novembre 1990, almeno ufficialmente. Quella è la sua ultima presenza da calciatore, non solo della Roma. Gioca uno scampolo di partita contro il Bordeaux, in un 5 a 0 in Coppa Uefa ormai impacchettato. Conti fa due dribbling come ai bei tempi, convinto che quella sia solo la prima partita di altre, in quella che sarà sicuramente la sua ultima stagione. Invece, per Ottavio Bianchi il trentacinquenne Conti non merita spazio e così, si chiudono carriera e campionato. “Avrei meritato un trattamento diverso”, dirà con un filo di polemica, solo più tardi.

La sua ultima vittoria, infatti, la strappa il 23 maggio, quando un Olimpico strabordante gli dedica il suo ultimo saluto.