Oggi, per Leonardo Bonucci, sono 33 anni. Un tre appaiato, che associato alla carriera del difensore bianconero assume un valore simbolico. Perché tre, in fondo, sono anche le vite che ha vissuto, con le maglie di Inter, Milan e Juventus, il vertice concettuale, per storia e blasone, del calcio italiano. E di ognuna di queste vite ha avuto bisogno per definirsi come calciatore e come professionista: diviso, spesso, tra critiche ed elogi, tra luci ed ombre, ma anche nella morsa degli opposti fedele a sé stesso, nell’interpretazione di un ruolo che grazie anche a lui oggi comprendiamo in maniera diversa dal passato.

Gli esordi con la maglia dell’Inter

L’11 luglio del 2005, i nerazzurri acquistano Bonucci dalla Viterbese. Si apre la prima parentesi della sua vita e carriera, una parentesi anticipata appena l’anno prima, quando il suo allenatore agli Allievi, Carlo Perrone, gli cambia la prospettiva sul futuro. Bonucci è un centrocampista, ma Perrone ne intuisce il potenziale come difensore, facendolo arretrare di qualche metro. I piedi sono anche troppo educati, le leve lunghe ci sono, sulla tecnica difensiva ci sarebbe da lavorare, ma sicuramente Bonucci diventa un giocatore molto più interessante di quanto non fosse in mediana.

Così, per 40.000 euro, l’Inter lo porta a Milano, dopo averlo “omaggiato” di un viaggio ad Abu Dhabi per un torneo di prova. Va in scena il primo atto, insomma, dopo un prologo senz’altro significativo. Nel 2006, riesce a fare il suo esordio in prima squadra: è il 14 maggio, quando Roberto Mancini lo butta nella mischia al posto di Santiago Solari. Sembra l’antipasto di un sogno che si realizza, ma quella resta la prima ed unica presenza in Serie A con la maglia nerazzurra, che gli vale persino il primo Scudetto, dopo gli effetti delle sentenze di Calciopoli.

Ne segue ancora una stagione in Primavera, con tanto di conquista del titolo di categoria, accanto a Mario Balotelli. Poi, però, la sua strada comincia ad allontanarsi da Milano. Treviso, Pisa e Bari sono le prime tappe, in prestito, ma nel 2009 viene ceduto a titolo definitivo al Genoa, nell’affare che varrà mezzo Triplete e che coinvolge anche Diego Milito e Thiago Motta. Non è questo però, l’addio definitivo: lo sarà formalmente, ma sentimentalmente Bonucci rimanda ancora. Torna a Bari in comproprietà e sotto gli ordini di Giampiero Ventura si fa notare per davvero. Accanto a lui c’è Andrea Ranocchia, altro emergente della linea difensiva del tecnico ligure. A fine anno, estate 2010, per Bonucci si vocifera di un ritorno all’Inter, ma alla fine – alle buste – viene riscattato dal Bari che, alle spalle, ha la Juventus. Come un addio manzoniano, Bonucci chiude una porta della sua vita, per iniziare l’esperienza più importante della sua carriera.

Il primo ciclo alla Juventus

E così si apre un portone, anche se le scale da superare, prima di varcare la soglia, sono più ardue di quanto potesse pensare. La prima stagione è disastrosa per certi versi, perché contribuisce a cucirgli addosso un’etichetta che fatica ancora oggi a togliersi. Le “bonucciate”, così vengono chiamate: sono errori spesso dovuti all’eccesso di sicurezza, che sottintendono un orgoglio che a volte resta incompreso, o peggio frainteso come arroganza.

Con Luigi Delneri in panchina, Bonucci è decisamente lontano dal suo apice, ma non per questo snatura il suo senso di essere difensore, così moderno. Non è il migliore della retroguardia in fase di anticipo, certo; temporeggia troppo con la palla al piede, certo; avrà bisogno di due guardie del corpo come Giorgio Chiellini e Andrea Barzagli, arrivato l’anno successivo con Antonio Conte in panchina, per affermarsi, certo. Però non può essere una discriminante delle sue qualità. E in cuor suo, il sentirsi in ombra per gli errori, più di quanto non sia sotto i riflettori per le giocate riuscite, sembra avere un peso eccessivo, che si intuirà solo qualche anno più tardi.

Supposizioni a parte, resta la realtà, una realtà che – il 29 novembre 2011 – prende una forma sempre più concreta. Conte schiera per la prima volta la difesa a tre, contro il Napoli, dopo due mesi di difesa a quattro. Lo spostamento di Chiellini a terzino era stato premonitore nelle settimane precedenti, ma un’intuizione resta vana se poi non si registra il brevetto. E così, Conte cala il suo jolly e Bonucci comincia a trovarsi a suo agio in quel nuovo contesto. In mezzo a due marcatori così bravi, può uscire in anticipo con più spensieratezza, e questo offre maggior lucidità quando c’è da far ripartire l’azione assumendosi qualche rischio in più. Le “bonucciate” sono episodi che si ripetono talvolta, ma sono sostenibili grazie alla solidità di una squadra che diventa via via sempre più dominante.

Quando Massimiliano Allegri subentra a Conte, costruisce la sua Juventus sulle stesse fondamenta. Bonucci è ormai consolidato, è riconosciuto, malgrado un rapporto col nuovo tecnico che col tempo si sfilaccia. Nella stagione 2016-2017, i nodi vengono al pettine. Nell’anno in cui il difensore colleziona le sue 300 presenze in bianconero, e con una Juventus lanciata verso la seconda finale di Champions in tre anni, si rompe il rapporto con Allegri. Succede dopo una partita con il Palermo, il 17 febbraio del 2017:  la Juve vince, ma Bonucci, scuro in volto, corre subito negli spogliatoi, dove scoppia una lite con il tecnico livornese. L’immagine di lui sullo sgabello, alla giusta distanza da Pavel Nedved e Beppe Marotta a Oporto, la settimana successiva in occasione della sfida di Champions contro il Porto, immagine che tra l’altro scatenerà l’ironia del Web, fa nascere in Bonucci un forte senso di abbandono, di solitudine, che lo spinge probabilmente a provare una nuova esperienza a fine stagione.

Bonucci capitano del Milan

“Non si torna indietro dalle pause di riflessioni” è una frase che, forse, a qualcuno sarà capitato di sentire. Nell’estate 2017, con un colpo di scena e di mercato, Bonucci si trasferisce al Milan. “Mi hanno detto infame, traditore, mercenario – dice il giorno della presentazione a Milanello – tre aggettivi pesanti da attribuire a uno che ha sempre fatto il massimo con la Juventus” ammettendo i suoi limiti e provando allo stesso tempo a superarli. Ci vogliono gli attributi, dice a sé stesso, ma davanti ai giornalisti. E così ecco cominciare la terza vita calcistica di Bonucci, la più breve, ma la più intensa allo stesso tempo.

È una stagione travagliata quella milanese, aggravata da più di quaranta milioni di motivi, il peso di una cifra importante spesa dalla società rossonera. Da Bonucci come terzo di tre alla Juve, si passa a Bonucci capitano al Milan. Un gradino che scende, per poi risalire. L’annata del giocatore si rispecchia in quella della squadra: a Montella succede Gennaro Gattuso, i risultati migliorano, ma solo parzialmente. Il 31 marzo 2018 segna a Torino contro la Juve, ma non basta ad evitare la sconfitta dei rossoneri per 3 a 1. A fine stagione, con la stessa improvvisa fretta di andarsene provata l’anno precedente, ritorna a Torino, consapevole di aprire una nuova parentesi.

Il ritorno alla Juventus

Nell’estate del 2018, ha inizio il quarto capitolo della sua carriera, nel quale ha capito che bisogna “accettare i fischi” oltre ai rischi di un ruolo interpretato senza mai snaturarsi, cercando la giocata pulita a tutti i costi, compiacendosi quando è giusto che si riconoscano i propri meriti e criticandosi in silenzio nei momenti più cupi.

Ha imparato a tollerare le critiche, si è fatto maturo in una stagione all’inferno, come l’avrebbe chiamata Rimbaud, e piano piano è ritornato al suo posto. C’è meno orgoglio ora, più riflessione, e di conseguenza anche meno “bonucciate”. Potrebbe essere l’ultimo atto, ma se anche non fosse, se anche ci saranno altre vite da vivere, lo farà senza remore, sempre uguale a sé stesso.