I Los Angeles Lakers vincono gara-6, chiudono la serie (4-2) contro i Miami Heat e si laureano campioni NBA. Per i californiani un titolo che mancava da 10 anni, il 17° della propria storia, che permette loro di raggiungere gli storici rivali dei Boston Celtics in vetta alla classifica delle franchigie più titolate della lega. L’uomo copertina è sempre lui, LeBron James, eletto MVP delle Finals per la quarta volta in carriera: è il primo di sempre a ottenere il riconoscimento con 3 squadre diverse.

Sull’altro lato del campo di battaglia un’avversaria infine sconfitta, ma che esce con l’onore delle armi e il rispetto unanime per l’orgoglio, la determinazione e il livello del basket messi in campo: gli Heat di coach Spoelstra sono stati un’avversaria vera, di quelle che aumentano il senso della vittoria, crollata solo nell’ultimo confronto (in gara-6, terminata 106-93, i Lakers erano già scappati a +28 alla fine del primo tempo) quando è emerso il logorio di una serie condotta su ritmi altissimi.

Si chiude dunque una stagione atipica, forse irripetibile per dinamiche e modalità, durata quasi un anno: l’inizio il 22 ottobre 2019, poi lo stop, un campionato il cui destino è stato in bilico per mesi e infine la bolla di Orlando, nella quale i giocatori hanno dato vita al finale migliore che si potesse immaginare.

17° titolo per i Lakers

Mai come in questa gara-6 è stata evidente la fame di Lakers e l’urgenza di chiudere la pratica, andando a prendere la loro porzione di gloria nella storia della NBA. Una gara dominata dall’inizio alla fine, con il piglio ruggente ed autoritario di chi ha una missione da compiere. La modalità con cui è maturata quest’ultima decisiva vittoria sui Miami Heat è un po’ la firma sul capolavoro infine ultimato: la difesa di Anthony Davis, che non lascia passare nulla, Rajon Rondo in versione playoff (la migliore di sé) splendido in regia, e poi lui, il Re tornato sul trono, LeBron, che chiude l’ennesima stagione da fuoriclasse, la 17ª da professionista, con un’altra tripla doppia nelle Finals.

Erano partiti con il favore del pronostico, i gialloviola, un’etichetta rimasta incollata addosso agli uomini di Frank Vogel lungo tutto l’arco di una stagione passata attraverso il primo posto nella western conference nella regular season (52 vittorie e 19 sconfitte), le vittorie ai playoff contro Portland, Houston e Denver (tutte serie vinte per 4-1) e le finali iniziate a razzo con Miami, con quel 2-0 nei primi due atti che aveva fatto pensare persino ad un possibile sweep.

Gli Heat sono stati avversari degni di una grande squadra: Miami era condannata ad essere perfetta per poter dire la propria in queste Finals e per alcuni tratti lo è stata. I campioni dell’est possono dire di aver dato davvero tutto ciò che era possibile, considerata la sfortuna – vedi il capitolo infortuni – con la quale la squadra di Erik Spoelstra ha dovuto fare in conti.

Jimmy Butler ha condotto una serie memorabile, mancando solo nell’ultima delle 6 gara disputate, Bam Adebayo è stato limitato dall’infortunio al collo al termine di un playoff che lo ha affermato come uno dei centri più forti della lega, e la lunga assenza di Goran Dragic è una delle possibili slinding doors delle finali.

Resta l’orgoglio di essere arrivati alle finali risalendo dal 5° posto ad est e facendo fuori da grande collettivo i Bucks, detentori del miglior record stagionale nella regular season. Un punto di partenza per una franchigia che negli anni a venire, se saprà ripartire da Butler, Adebayo e da un Herro affermatosi come nuovo possibile astro nascente, farà vedere grandi cose.

Un titolo dedicato a Bryant

Era di Kobe il volto dell’ultimo titolo dei Lakers, ottenuto contro i Celtics nel 2010. Dopo la sua scomparsa in gennaio, la stagione dei gialloviola ha assunto un significato diverso: “Ci guardano con un sorriso da lassù” dice LeBron a fine gara, riferendosi a Bryant e alla figlia Gianna, nelle prime parole da neo campione.

Una vittoria che chiude un cerchio e celebra con l’abbraccio della Lakers Nation una vicenda drammatica: “Prima che succedesse tutto continuava a dirci che questo era il nostro anno, che dovevamo prenderci questo titolo – racconta Anthony Davis -. Ci manca, questo successo è per noi”.

Gli fa eco Rob Pelinka, presidente dei Lakers: “Vincere questo titolo non diminuisce il dolore della perdita, ma aggiunge all’eredità di Kobe e Gianna che durerà per sempre. Questo titolo dei Lakers li onora: poterglielo dedicare non potrebbe essere più speciale”.

LeBron, il ritorno del Re

“Questo titolo è uno dei traguardi più grandi che abbia mai raggiunto” dice a fine gara il numero 23. La consapevolezza è di come il capolavoro sia innanzitutto suo, che a 35 anni ancora detta lo standard di questo sport: nella miriade di record infranti in carriera, da ieri notte ne spicca un altro, essendo diventato il primo giocatore ad essere eletto MVP delle Finals con 3 squadre diverse (Heat, Cavaliers e Lakers).

Era giunto a Los Angeles nel 2018, un grande che giungeva nella terra dei grandi con l’intento di riportare in California un titolo che mancava dal 2010. Un’avventura iniziata male, con l’infortunio che lo aveva tenuto fuori per 55 partite (il più lungo stop della propria carriera) e un destino di vittoria che stentava a decollare. Poi gli astri si sono allineati: il ritorno in una condizione smagliante nel 2019, il ritmo recuperato, l’arrembante cammino che ha portato i Lakers ad avere il miglior record ad ovest, le seconde linee che si sono ricompattate sotto la guida del fuoriclasse.

Kentavious Caldwell-Pope, Rajon Rondo, Dwight Howard, Alex Caruso, tutti giocatori che hanno saputo ritagliarsi una grossa fetta di merito per questo titolo conquistato, grazie ad un contributo determinante nella varie fasi della stagione. “Siamo una famiglia, questo ci rende speciali” ha detto commosso Caldwell-Pope.

E poi c’è stato lui, Anthony Davis, uno dei possibili eredi al trono. In un rapporto quasi idilliaco con il proprio mentore LeBron, la giovane stella Lakers aveva ammesso di nutrire una sola invidia: l’anello. Ora ne ha uno, meritatissimo, per la conquista del quale è stato una parte fondamentale. Era tra i papabili per il titolo di MVP delle Finals, a pieno merito, prima che LeBron salisse in cattedra. Il futuro è suo.

“Il lavoro non è ancora finito” tuonava LeBron quando in vantaggio per 2-0 nella serie tutti davano i Lakers avviati allo sweep. Ora il lavoro è davvero finito: i Lakers sono campioni.