Era il 13 marzo quando, pochi istanti prima del fischio d’inizio della partita tra Oklahoma City Thunder e Utah Jazz, la notizia della positività al tampone del Coronavirus da parte di Rudy Gobert (dei Jazz) sconvolgeva la NBA. Partita sospesa nel riscaldamento e provvedimento lampo – la decisione è stata comunicata il giorno successivo – del commissioner Adam Silver che annunciava lo stop a tutte le attività della lega, con effetto immediato e per una durata, quella la stima del primo momento, di almeno 30 giorni. Un provvedimento d’emergenza, i cui termini temporali non potevano essere valutati immediatamente, come per stessa ammissione di Silver: “Non ne sappiamo ancora abbastanza per essere più precisi di così. Volevamo però dare una indicazione ai nostri giocatori, alle nostre squadre e ai nostri tifosi su quanto potesse durare questa situazione. La questione ora è creare un protocollo per poter tornare a giocare, ma con l’obiettivo di non compromettere la salute di nessuno”

A 4 giorni di distanza i casi di positività in NBA sono saliti a 3 (a Gobert si sono aggiunti il compagno di squadra a Utah Donovan Mitchell e Christian Wood dei Detroit Pistrons) e sono iniziate le operazioni per raggiungere quello che ad oggi è l’obiettivo primario dei presidenti delle varie franchigie: salvare la stagione 2019-20.

Iniziamo col dire che la stima dei 30 giorni di stop sarà certamente da rivedere: la situazione attuale negli Usa, in cui l’emergenza Covid-19 assume col passare delle ore contorni sempre più di larga scala, imporrà uno stop degli eventi sportivi per un periodo non inferiore alle 8 settimane, come da raccomandazione del Center for Disease Control and Prevention, che si è pronunciato riguardo la necessità di annullare o prorogare tutte le manifestazioni che portino ad un assembramento di più di 50 persone, per un periodo di almeno due mesi.

Due le ipotesi al vaglio per il rientro in campo

Silver ha avviato le consultazioni con i vari presidenti e dirigenti e la lega si starebbe preparando all’ipotesi di ritornare in campo intorno alla metà di giugno, ma con quale modalità? Escludendo quello che sarebbe lo scenario peggiore tra tutti, che però ad oggi nessuno può ancora escludere, ovvero la cancellazione della stagione in corso, le opzioni al vaglio sarebbero 2: lo slittamento di tutte le partite, con ripresa della regular-season a porte chiuse a giugno e Finals in estate, oppure il “troncamento” della stagione regolare (allo stato attuale resterebbero da disputare il 21% degli incontri) e ingresso diretto alla fase playoff, per la quale si starebbe anche valutando l’ipotesi di un cambio di formula (con partite al meglio delle 5 anziché al meglio delle 7), con i palazzetti accessibili al pubblico qualora la situazione sanitaria statunitense lo permettesse.

In entrambe le ipotesi le criticità a cui fare fronte sono molteplici: la prima, che pare essere stata superata, è legata ai contratti degli atleti, che terminano il 30 giugno, ma il sindacato dei giocatori avrebbe dato parere favorevole ad una proroga che consenta di portare a temine la stagione.

Di più difficile soluzione è la questione legata alla disponibilità dei palazzetti. Le arene dentro alle quali vengono disputate le gare di NBA vengono affittate dalle franchigie per periodi prestabiliti (fino a giugno), ma per il resto dell’anno ospitano altre manifestazioni. L’ipotesi di “incastrare” le partite andando a sfruttare gli spiragli liberi nella fitta calendarizzazione degli impegni in programma nei palazzetti è al vaglio, ma il board della lega avrebbe dato mandato alle varie società di attrezzarsi preventivamente per la ricerca di strutture alternative (come impianti di allenamento degli stessi club e altri campi di gioco) idonee ad ospitare le partite dei playoff, questo per non trovarsi costretti ad accettare aut-aut quali, per esempio, l’imposizione di giocare di pomeriggio.

Priorità assoluta, in tutte le scelte future, sarà quella di mantenere l’appetibilità agli occhi delle tv che detengono i diritti sul campionato e limitare le perdite. Perdite che ad ora – sono al vaglio da parte dei tecnici della lega le stime riguardanti la ricaduta economica di ciascuno degli scenari citati – ammontano a circa 500 milioni di dollari di soli mancati incassi al botteghino. Un’emorragia di denaro che avrà certamente ripercussioni anche sulla prossima stagione: pare certo ormai che allo stato attuale sia il salary cap sia i dividendi destinati alle varie franchigie verranno modificati al ribasso.

Quello che appare molto probabile è che salvo l’avverarsi della catastrofica ipotesi della cancellazione del torneo, gli eventi di questi giorni si ripercuoteranno sugli appuntamenti dell’edizione 2020-2021: slitterà il draft e slitterà l’inizio del prossimo campionato.

La NBA si mobilita per i dipendenti delle arene

Il terremoto provocato dal coronavirus è arrivato anche nel mondo del basket statunitense e già dal giorno successivo la Nba è sembrata compatta nel tentativo di ripartire. O anzi, di non fermarsi: in questo senso, chi si è trovato di fronte ad un stop forzato sono i tanti dipendenti e membri degli staff delle arene, che da un giorno all’altro, con l’annullamento delle gare in programma, si sono ritrovati senza un impiego. Si è innescata però, da parte dei giocatori delle varie squadre, una corsa alla solidarietà per permettere a tutti i lavoratori, che saranno costretti a rimanere a casa fino alla ripersa del campionato, di percepire i prossimi 30 giorni di stipendio.

Capofila dell’iniziativa, e primo a mobilitarsi, è stato Kevin Love dei Cleveland Cavaliers. Lo squillo è stato udito da molti dei big della lega, che hanno risposto presente: 500 mila dollari è stata la donazione del giocatore simbolo di questa emergenza, Rudy Gobert. Blake Griffin ha risposto con 100 mila dollari, seguito da Giannis Antetokounmpo, leader e “trascinatore” dei Milwaukee Bucks: dopo la sua donazione da 100 mila dollari la società ha annunciato di volere provvedere al pagamento degli stipendi degli addetti ai lavori del Fiserv Forum.
Lo stesso hanno fatto le dirigenze di Cleveland Cavaliers, Dallas Mavericks, Golden State Warriors, Los Angeles Lakers, Toronto Raptors, Memphis Grizzlies, Phoenix Suns e Philadelphia 76ers.