Il 17 giugno di 10 anni fa, Kobe Bryant vinceva il suo quinto ed ultimo titolo NBA. Un anello per ogni dito di una mano destra che per 20 anni, dal 1996 al 2016, ha scritto pagine indelebili del basket professionistico mondiale.

L’epilogo di una carriera leggendaria, contro la migliore delle avversarie possibili per chi durante tutta la propria storia ha indossato una sola canotta, quella gialloblù, incarnando lo spirito più profondo dell’essere un Lakers: i Boston Celtics. Gli avversari di sempre, il nemico sportivo per elezione. E nel caso specifico di quella season 2010 non dei Celtics qualsiasi, ma uno dei quintetti più impattanti dell’NBA di quel decennio, Boston dei Big Three, Kevin Garnett, Paul Pierce e Ray Allen. Tre mostri sacri che insieme a Rajon Rondo andavano a comporre una squadra da antologia del basket.

Ne venne fuori una serie tiratissima, giunta a gara 7, nella quale Bryant mise in campo un gioco all’altezza del mito che il suo nome richiama, con tutto il repertorio che lo aveva reso grande negli anni, più un colpo di scena finale inaspettato per chiunque conoscesse il suo gioco e la sua mentalità.

I Boston Celtics, gli avversari di sempre

Nel finale della prima decade dei 2000 Lakers e Celtics sono le due franchigie dominanti: quelle del 2010 sono le seconde Finals tra le due squadre nelle ultime 3 stagioni. Kobe c’era, nel 2008, ed era stato il migliore dei suoi in ogni singola gara della serie, ma si era dovuto arrendere ai tre giganti in maglia verde: un Garnett mostruoso sotto canestro, Pierce implacabile al tiro e la difesa di Allen si erano rivelati un ostacolo insormontabile. I Celtics l’avevano risolta in gara 6 al TD Garden.

Quella, per Bryant, sarebbe rimasta una ferita aperta: aveva in bacheca 4 titoli NBA, 2 titoli di MVP e un posto nella Hall of Fame già scritto nella pietra, ma gli mancava il successo che avrebbe fatto di lui un pari di Magic Johnson e Kareem Abdul-Jabbar, gli unici capaci di ribaltare il dominio di Boston, che delle 10 Finals disputate contro il Lakers sino al 2010 ne aveva vinte 8. Con una nuova sconfitta Kobe sarebbe rimasto ciò che era, uno tra i Lakers migliori di sempre, ma strappare il titolo alla rivale storica, e simbolo del basket ad est, lo avrebbe innalzato a qualcosa, se possibile, di ancora più grande.

Lakers-Celtics, una serie infinita

La serie del 2010 si rivela uno spettacolo assoluto: i Lakers vincono gara 1 allo Staples Center grazie ai punti di Bryant (30) e allo strapotere a rimbalzo di Pau Gasol (un tema che si ripeterà in ogni successo gialloblù fino a gara 7); si arrendono poi in gara 2 ai 32 punti di Ray Allen e ai 12 rimbalzi e 10 assist di Rajon Rondo. Ci si sposta a Boston per gara 3 e la coppia Bryant-Gasol sale nuovamente in cattedra per il 2-1 Lakers. In gara 4 Boston fa 2-2, con Pierce e company che imprimono lo sprint decisivo nella quarta frazione di gioco, nonostante i 33 punti di Kobe. Gara 5, Boston mette la testa avanti: Bryant è stratosferico, segna 38 punti, ma quella di Pierce, Garnett e Rondo è una prestazione corale di livello assoluto, per il 92-86 finale. Si torna allo Staples Center e i Lakers pareggiano la serie: miglior marcatore nell’ 89-67 che vale il 3-3, nemmeno a dirlo, Kobe Bryant, che con 26 punti e l’apporto determinante del solito Gasol schianta Boston. La finale si gioca a Los Angeles.

Il quinto anello di Kobe Bryant

In gara 7, quando nel terzo quarto il parziale dava Boston a +13, Kobe è stato unito con un filo invisibile a Jerry West: uno dei migliori di sempre (è sua la sagoma ritratta nel logo della NBA), Lakers vero, perennemente sconfitto dai Celtics (addirittura 6 le finali perse nel corso degli anni ’60). Una partita fino a quel momento non indimenticabile del Mamba, imbrigliato dalla morsa verde e dalla difesa stratosferica di Ray Allen, in una partita che meglio di tutte le altre in quella stagione ha rappresentato l’essenza delle due realtà a contendersi il titolo: un grandissimo organico, contro un singolo fenomeno.

Ray Allen non fa respirare Kobe per tutta la gara, con il numero 24 continuamente raddoppiato che chiuderà con un 6/24 al tiro. Ed è a questo punto che Bryant, dominatore, accentratore, persino brutale nel suo straripante individualismo, fa la cosa che nessuno si aspetta: delega. L’iper lavoro dei Celtics su Bryant apre spazi che Gasol, monumentale in gara 7, e Ron Artest sfruttano al meglio. I Lakers tornano in carreggiata portandosi a -4 all’inizio dell’ultima frazione, mettono la testa avanti e si ritrovano a gestire un possesso determinante a 1 minuto dal termine.

Ed è qui il colpo inaspettato di Bryant: prende palla sulla linea dei 3 punti, palleggio per prendere spazio al marcatore, stacco, sospensione e, anziché tirare, scarico su Artest, completamente solo, che mette la tripla decisiva ad affondare Boston. Un passaggio che, come ammesso dallo stesso Artest nella conferenza post-gara, tra le risate generali, ha trovato impreparato anche lui: “Kobe non mi ha mai passato la palla…e (oggi) mi ha passato la palla!”

Il balletto di time-out e falli tattici non cambia il destino, la partita finisce qui. I Lakers sono campioni per la sedicesima volta, Bryant per la quinta. Il Mamba viene eletto MVP delle Finals e riesce lì dove solo Magic Johnson e Kareem Abdul-Jabbar erano riusciti: strappare il titolo dalle mani dei Celtics. “Questo è stato il più difficile. Lo volevo così tanto, e a volte quando lo vuoi così tanto ti scivola via – dirà Bryant in seguito – Questo è di gran lunga il titolo più dolce, perché (gli avversari) sono loro“.