Uno dei giocatori più iconici dell’NBA, uno di quelli che si crede possano restare per sempre giovani, compie oggi 59 anni. Stiamo parlando di Dennis Rodman, soprannominato The Worm”, un nickname che si porta dietro fin da ragazzo, ma che in realtà non è legato al basket. La traduzione, infatti, è “Il Verme” e si riferisce al fatto che quando giocava a flipper si contorceva e si “attorcigliava” proprio come fanno alcuni vermi.

Nato a Trenton, nel New Jersey, Rodman è cresciuto a Dallas e si è fatto notare in particolare all’università, giocando per la Southeastern Oklahoma State University. Al Draft NBA del 1986 viene scelto, al secondo giro, dai Detroit Pistons, squadra con cui, fino al 1993, colleziona 549 presenze e 4.844 punti, vincendo il campionato per due volte consecutive, nel 1989 e nel 1990 e in entrambe quelle stagioni è nominato difensore dell’anno e ovviamente inserito nell’NBA All-Defensive Team come era già avvenuto nel 1988 e come avverrà anche nel 1991, 1992, 1994 e 1995.

Rodman lascia i Pistons nel 1993 e legato a quella decisione c’è un episodio un po’ particolare: il noto giocatore fu trovato in un parcheggio della squadra con un fucile carico. Lui, nelle sue biografie, ha spiegato che è stato un gesto simbolico per uccidere il vecchio Dennis e lasciare spazio al nuovo Dennis, ma quello è stato a tutti gli effetti un tentativo di suicidio, fortunatamente abortito immediatamente. Quell’episodio ha determinato una svolta nella sua vita: da quel momento, infatti, ha cominciato a essere più appariscente dal punto di vista del look, si è colorato i capelli di colori vivaci e si è fatto molti piercing e tatuaggi.

Dopo i Pistons va ai San Antonio Spurs, continuando a essere uno dei migliori difensori, ma la franchigia texana ha sempre mal sopportato i comportamenti sopra le righe che Rodman aveva fuori dal campo, anche nei confronti dei suoi stessi compagni. Per Gara 5 delle finali della Western Conference non arriva al palazzetto con il team, bensì separatamente. Gli Spurs, così, a fine stagione lo lasciano andare senza problemi, facendo uno scambio con i Chicago Bulls e ottenendo il centro Will Perdue.

A Chicago, Rodman si ritrova a far parte di quella che viene considerata una delle squadre più forti di tutta la storia dello sport. Guidati da Phil Jackson, i Bulls riescono a vincere il campionato NBA per tre stagioni consecutive dal 1996 al 1998. L’allenatore ha in seguito ammesso che Rodman è stato per lui il migliore atleta che avesse mai allenato, lasciando intendere dunque che, da quel punto di vista, Il “Verme” fosse addirittura più determinante di altri giocatori da lui gestiti in carriera, come Michael Jordan, Shaquille O’Neal e Kobe Bryant.

Con i Bulls gioca 199 partite e mette a segno in totale 1.037 punti. Nella stagione 1998-1999 gioca a Los Angeles, con i Lakers, mettendo insieme solo 23 presenze e 49 punti; poi nel 1999-2000 passa ai Dallas Mavericks per sole 12 presenze e 34 punti, risultando particolarmente falloso e svogliato, tanto che Steve Nash, a proposito del suo periodo a Dallas, ha dichiarato che Rodman non ha mai voluto davvero essere un Maverick.

Per ben sette volte di fila, dal 1992 al 1998, Rodman è stato il miglior rimbalzista di tutta l’NBA. Nel 1990 e nel 1992 è stato scelto per l’NBA All-Star Game, mentre sempre nel 1992 e poi nel 1995 è stato inserito nell’All-NBA Third Team, ossia il terzo miglior quintetto di tutto il campionato. In carriera ha indossato i numeri 10, 91, 73 e 70 e la casacca numero 10 è stata ritirata dai Detroit Pistons. Nel 2011 è stato inserito nell’Hall of Fame del basket.

Dennis Rodman, non solo basket…

Dal 2000 al 2005 Rodman si è preso una lunga pausa dal basket per dedicarsi al cinema e al Wrestling, anche se come attore ha collezionato solo “Razzie Awards”, ossia i premi destinati a chi offre le peggiori performance sul grande schermo. In realtà anche mentre giocava frequentava il jet set, tanto da aver avuto anche una breve ma molto pubblicizzata relazione con la cantante Madonna, che tra l’altro si era messa in testa di avere un figlio da lui (senza riuscirci). Inoltre nel 1998 è stato sposato per pochi giorni con l’attrice Carmen Electra, ma anche il suo precedente matrimonio con la madre della sua prima figlia è durato solo pochi giorni. Dalla terza moglie ha avuto altri due figli, ma anche in quel caso la relazione si è chiusa presto con un divorzio.

Di fatto Rodman non è più tornato in NBA da giocatore, ha solo giocato alcune partite nel 2006 con la squadra inglese dei Brighton Bears e poi ha partecipato a diverse esibizioni. Ha anche provato a fare l’allenatore, come vice, nei Chicago Bulls (2007-2008) e per gli Elmira Bulldogs (2009-2010). In realtà dopo il ritiro si è dedicato più che altro alla sua “vita da star” e ha anche partecipato a diversi reality. Inoltre ha avuto problemi con l’alcol ed è stato arrestato per ubriachezza. E in molti casi la polizia è dovuta intervenire anche per violenze domestiche.

Si è sempre distinto per trovate particolarmente “originali”, come quando si è vestito da sposa per la promozione del suo libro o quando ha fatto l’inviato in Vaticano durante il conclave del 2013 per una agenzia di scommesse irlandese.

Dennis Rodman e i rapporti con Kim Jong-un

Dennis Rodman è stato apertamente un sostenitore di Donald Trump, con il quale ha lavorato a “Celebrity Apprentice” e che è suo amico da molti anni. Come è suo amico anche il leader nordcoreano Kim Jong-un, con il quale ha avuto a che fare la prima volta durante un suo viaggio in Corea del Nord nel 2013 con il corrispondente di Vice Media Ryan Duffy. L’intercessione di Rodman è stata fondamentale per convincere Kim a rilasciare il prigioniero americano Kenneth Bae.

In seguito ha visitato la Corea del Nord altre volte con il chiaro intento di fare da intermediario con gli Stati Uniti e favorire il disgelo tra le due nazioni. Tra l’altro, durante un viaggio nel 2014, ha portato a Kim Jong-un regali di lusso per il valore di migliaia di dollari, fatto sul quale poi è scattata un’indagine del Dipartimento del Tesoro. È tornato più volte in Corea e di recente ha raccontato di essersi anche ubriacato con il leader nordcoreano la prima volta che lo ha incontrato, ma ha anche detto che, una volta rientrato negli Stati Uniti, si è accorto che gli controllavano il telefono e per questo da allora usa un vecchio modello di cellulare.