Di Gabriele Borzillo
4 Aprile 2020
Ci sono storie, nel mondo del pallone, che non passano mai. Ci sono squadre, nel mondo del pallone, che pensi possano essere una vera iattura quando ti tocca affrontarle. E non parliamo di leggende popolari, racconti mitologici, storie fantastiche montate ad arte per i tifosi. No, basta ripescare negli archivi i filmati d’epoca per capire che si tratta di realtà, di vissuto, di qualcosa che ti resta attaccato alla pelle e non ti lascerà mai. Capita a tutti, non a una squadra in particolare. Capita alla Juventus col Perugia, alla Roma col Lecce, all’Inter con la Lazio. Ma se errare è umano, perseverare ha un qualcosa di diabolico.
20 maggio 1973, il Milan appena reduce dalla vittoria di Salonicco in Coppa delle Coppe – viaggio di ritorno stancante e motivo per cui i rossoneri chiesero il posticipo della partita a lunedì, richiesta respinta – è di scena a Verona. I rossoneri possono contare su un punto di vantaggio nei confronti della Juventus, diretta concorrente alla corsa per il titolo. Dall’altra parte i gialloblù veneti, guidati da Giancarlo Cadè, hanno estrema necessità di raccattare almeno un pareggio per evitare lo spettro della retrocessione. C’è il sole, Bentegodi esaurito, esodo milanista in terra veneta. Sarà una Caporetto calcistica per i rossoneri, passata alla storia come la “fatal Verona”. Sotto 0-3 dopo mezz’ora, poi 1-5 prima dell’inutile impennata d’orgoglio fino al 3-5 conclusivo. La Juventus vince a Roma e si cuce il tricolore sul petto, i gialloblù restano nella massima serie grazie all’irripetibile prestazione. Irripetibile? Aspetta…
Passano diciassette anni e tanta acqua sotto i ponti. Verona, la “fatal Verona”, è solo uno dei vecchi ricordi sbiaditi nell’album della memoria rossonera. La nostra storia ci porta al 22 aprile 1990. È il Milan di Sacchi, di Gullit, di Rijkaard e Van Basten, dei campioni d’Europa in carica, di coloro che hanno appena conquistato, dopo una vera e propria battaglia, l’ennesimo accesso alla finale della massima manifestazione europea per club in programma a Vienna un mese dopo, il 23 maggio, eliminando il Bayern Monaco dopo i tempi supplementari. Il calendario, ironia della sorte, riporta il diavolo a far visita ai veronesi impelagati, esattamente come diciassette anni prima, nella zona pericolosa, quella in basso a destra leggendo la classifica. Sono cambiati i tempi e, di conseguenza, gli interpreti: Arrigo Sacchi guida un Milan stellare, pieno di stelle, fuoriclasse senza se e senza ma.
Il Verona, quel Verona, vittima sacrificale dell’ennesima giornata di gloria rossonera, un gruppo di buoni giocatori, uniti con lo scopo di riuscire ad evitare la retrocessione. Partita, sulla carta, scontata. Piove e fa freddo per la stagione, appena 14 gradi, nulla a che vedere col maggio del ’73, soleggiato con temperatura estiva. Arbitra Rosario Lo Bello, lo stesso del primo maggio 1988, Napoli-Milan 2-3 e scudetto alla truppa Berlusconi. Insomma, nulla sembra presagire il tracollo sportivo. È vero, nelle fila rossonere mancano Gullit e Ancelotti, tra parentesi il tulipano nero verrà schierato in corso d’opera, ma i sostituti sono all’altezza. Oltretutto Marco Simone batte Peruzzi alla mezz’ora del primo tempo con un calcio di punizione tutt’altro che irresistibile. Strada in discesa, il mondo calcistico pensa già a dove sarà possibile disputare lo spareggio tra milanesi e partenopei, rivincita in stile Rocky Balboa-Apollo Creed. Invece, come può capitare, il copione sorprende. Così, durante un secondo tempo degno di Poirot, Sherlock Holmes e Miss Marple messi insieme, il Milan perde pazienza, partita e scudetto.
A onor del vero vanno ricordati alcuni episodi: ad esempio un calcio di rigore parso ai più evidente per uno sgambetto subìto da Massaro su cui Lo Bello glissa incurante delle proteste: anzi, se la prende pure con Sacchi che protesta e lo espelle. Pareggia il Verona, poi altro episodio dubbio in area scaligera, un presunto fallo su Van Basten, che uno può decidere se sanzionare o meno. Anche in questo caso il fischietto siracusano opta per il no, deciso, senza dubbio alcuno. Rijkaard si arrabbia poco dopo e segue il suo allenatore negli spogliatoi. Anche Van Basten, nervosissimo, reagisce smodatamente ad un fallo sanzionato contro di lui a centrocampo e, per protesta, si toglie la maglietta. Lo Bello non gliela fa nemmeno rimettere, via, sotto la doccia.
Il Verona ci crede, il Milan è ormai sui nervi, di gioco nemmeno l’ombra. Poi, minuto 89, Davide Pellegrini, sul filo del fuorigioco, i rossoneri protestarono anche per questo, beffa Pazzagli con un bel pallonetto. 2-1, Costacurta esagera nell’esprimere le proprie ragioni, inutile dire che viene allontanato dal campo: e fanno quattro espulsi. Finisce così, 2-1, Napoli campione la domenica successiva e rossoneri che si rifaranno vincendo, a Vienna, la Coppa dei Campioni contro il Benfica, bissando il trionfo della stagione precedente. Già, ma il Verona? In tutto questo gli uomini di Bagnoli, la settimana dopo, perdono uno a zero a Cesena in uno spareggio da brividi, retrocedendo in Serie B.
Nato a Milano, giornalista, scrittore, speaker radiofonico ed opinionista televisivo, laureato in Marketing e Comunicazione d’Impresa.