Di Fulvio Giuliani
29 Gennaio 2020
Un’impresa, ma non una sorpresa. Che il Napoli abbia i numeri, per vivere grandi nottate di calcio lo si sapeva anche prima che la rediviva banda di Gattuso riuscisse a battere la Juventus. Questo, allo stesso tempo, è però consolazione e monito.
Era settembre, quando gli azzurri impressionarono l’Europa giocando alla pari e battendo meritatamente il Liverpool. Era autunno inoltrato, in campionato già si scricchiolava, quando la squadra allora di Ancelotti giocò alla pari, sempre con il Liverpool ad Anfield Road. Insomma, i picchi di qualità non sono mancati, anche in questa disgraziata stagione. Ciò che è venuto completamente meno, almeno per tre mesi, è stata l’idea di squadra. Questa, in definitiva, è la vera novità di domenica sera. Aver rivisto un collettivo e non più una mera somma di individualità, che nessuno ha mai messo in discussione.
Qui, arriva il monito: il Napoli ha già abbondantemente dimostrato di saper dimenticare quale sia l’unica strada per ottenere grandi risultati. Dovesse ricascare nel vizio, a cominciare dalla sfida apparentemente abbordabile di lunedì a Genova con la Sampdoria, si riproporrebbero i medesimi fantasmi di 10 giorni fa. Il malato non è guarito, è convalescente.
Da quando il calcio è calcio, del resto, le grandi sfide, gli avversari più forti, sono la morfina delle squadre in difficoltà. Non a caso, Gattuso è stato chiaro, nel fissare il primo obiettivo: quota 40 punti, vale a dire la salvezza. Ciò che 12 mesi fa sarebbe apparsa una bestemmia calcistica, oggi è una linea tracciata dal pragmatico tecnico calabrese. Riprendiamo a fare il nostro dovere, è il suo messaggio, rimettiamoci in carreggiata e poi vediamo dove saremo e cosa potremo fare.
Testa, dunque, ma anche lavoro sul campo: Gattuso ha lavorato palesemente sulla condizione atletica e mentale della squadra. Ora il Napoli corre e non arriva più regolarmente secondo sulla palla. Andatevi a rivedere le ultime partite dell’era Ancelotti, accadeva esattamente il contrario. Per rinfrescare squadra e spogliatoio, poi, è risultato fondamentale l’innesto dei nuovi acquisti. Qui è doveroso fare i complimenti a Giuntoli e alla società, giustamente criticati, per la schizofrenica gestione, nella fase dell’ammutinamento. Aver pescato Demme dal Lipsia, pagandolo una manciata di milioni, appare il classico colpo da maestro. Diego (quanto è dolce scriverlo…) è il giocatore che serviva, al posto che serviva. Non avrà la tecnica di Jorginho, ma è dai tempi dell’italo-brasiliano, che il Napoli si arrangiava nel vertice basso di centrocampo. Lo ha fatto con Hamsik prima e con Allan e Ruiz poi, sempre con effetti disastrosi o quasi. Mettere ciascuno al proprio posto è spesso il primo passo, per diventare santoni della panchina. Demme, in misura minore Lobotka visto ancora poco, appaiono la catarsi di Fabian Ruiz, talento cristallino, troppo preso a specchiarsi. Quanto prima lo spagnolo riprenderà a guardare i propri compagni e non solo la propria bellezza, meglio sarà per lui e per il Napoli.
Il talento è tanto, ma non sarà mai tutto su un campo da calcio. Fabian potrebbe ogni tanto buttare un occhio al suo nuovo allenatore in panchina, ripassare carriera e trofei di Rino, e trarne ispirazione e ammonimento. Non solo lui, sia chiaro, perché troppi al Napoli hanno perso il senso della realtà e anche un po’ del dovere, prima di ricominciare a fare le cose come si deve. Scruteremo il broncio di Gattuso, per capire quanto la squadra e l’ambiente si stiano rimettendo in carreggiata.
Giornalista, speaker radiofonico, conduttore televisivo ed editorialista. Giornalista professionista dal 2000 conduco da oltre 20 anni “Non Stop News”, una delle trasmissioni di punta della prima radio per ascolti in Italia, RTL 102.5.