Di Lapo De Carlo
10 Luglio 2020
Il pareggio rimediato dall’Inter a Verona, con la terza beffa in 10 giorni, ha esasperato gli animi e sconvolto i piani per l’immediato futuro. La lettura di ogni prestazione della squadra è figlia di un’aspettativa smodata sia dall’esterno che dall’interno del club. Ci sono colpe precise, unite ad altre indefinite, e la società, per quanto mostri unità d’intenti, polso fermo e anima zen, attraverso la comunicazione imperfetta di Antonio Conte e l’atteggiamento in campo dei giocatori, esprime invece una profonda disarmonia. C’è troppa personalità in panchina e pochissima in campo ed è una caratteristica che spiazza da anni tutti gli osservatori dell’Inter e gli allenatori di turno.
Da febbraio in avanti, esattamente come tutti gli anni, il giocattolo si rompe, il gioco si inceppa e quest’anno la sosta forzata ha persino peggiorato la situazione. Oggi le squadre che stanno meglio sono Atalanta, Napoli e Milan. Tutte le altre esprimono un calcio approssimativo, deludente e privo di continuità. Giocare ogni tre giorni, con più di 30 gradi, non viene considerato dalla critica come una spiegazione adeguata e difatti sarebbe sufficiente dare un numero di motivazioni articolate, senza svenderne una come quella rivelatrice.
Preoccupa che anche l’allenatore, arrivato a Milano come l’ennesimo uomo del destino, sia confuso e si rifugi nelle sue idee, estremizzandone i concetti e non ascoltando nessuno quando gli si chiede di anticipare i cambi. E’ pagato per fidarsi del suo intuito ma oggi sembra in tilt e nessuno è in grado di fargli cambiare strategia. Conte andrà avanti così, con quel modulo, con i cambi tardivi e dando vita, fino all’ultima partita, a prestazioni controverse. A questa prima rapida spiegazione si aggiunge il fatto che ha esaurito in fretta il valore comunicativo e il rapporto di fiducia con il gruppo.
Come si può pensare che continuando a cambiare giocatori e allenatore ogni anno l’Inter cresca e costruisca qualcosa? Il gruppo è composto da giovani uomini, vulnerabili e straniti, privi di quella capacità di interpretazione della realtà che stampa e critica si aspetta. La personalità è un concetto tipicamente dinamico nell’arco di vita di una persona e i calciatori spesso svendono un’immagine antitetica alla verità. Magnificati per un gol a porta vuota, esaltati dai social, vivono una realtà priva di equilibrio e capiscono a fatica le difficoltà. I tatuaggi, la barba, l’aria machista, conferiscono a loro un aspetto che ne esalta le qualità combattive ma in realtà sono più fragili di molti ragazzi della loro età.
Urlare quasi un’ora contro un gruppo di calciatori tanto vulnerabili, può portare alla conseguenza di una squadra che entra in campo bloccata, impaurita e presa a pallate da un Verona, un Sassuolo o un Bologna, pur essendo avversari decisamente più deboli. A inizio stagione l’Inter era libera mentalmente e giocava in modo convincente, a tratti persino entusiasmante, ma non è stato segnalato abbastanza che l’assenza definitiva di Stefano Sensi ha cambiato in peggio il gioco e poi la stagione.
Vecino è stato spesso infortunato, così come Barella, e questo ha portato Brozovic a non avere altri interlocutori a metà campo e, anche in questa stagione, nessun cambio, se gli viene un raffreddore. Se si gioca ogni partita con il centrocampo preso dalla panchina e Conte non prevede di gestire le partite ma solo di spingere a tavoletta, andando in pressing nell’area avversaria, l’Inter che statisticamente è la squadra che corre di più (inutilmente), alla fine si sgonfia. E’ sorprendente che società e allenatore non si siano accorti di quante partite siano state perse e pareggiate nel finale e che il modulo a tre ha imploso le qualità di Godin, Skriniar ed Eriksen.
Ora è tardi per rimediare. Ci sono ancora diverse partite ma appare una realtà in cui le componenti del club pensano più a sé stesse. Lautaro pensa al Barcellona, Conte non si dà il tempo di capire l’Inter e la sua storia, alcuni giocatori fanno il compito assegnato con poca convinzione e sapendo che il loro tecnico li vuole vendere a fine stagione, Marotta tenta di riportare la calma e Zhang è lontano. All’Inter serve una vittoria normale, meno riflettori e, in futuro, la capacità di comprendere che oggi, ancora più della qualità, serve prendere uomini. Lo scrivo da anni, lo diciamo in tanti. Per ora l’Inter non ci ascolta.
Giornalista e direttore Radio Nerazzurra, opinionista a Sport Mediaset e TL, insegno comunicazione in Università e ad aziende. Ho un chihuahua come assistente e impartisco severe lezioni nella nobile arte del tennis ad amici e parenti.