Di Gabriele Borzillo
19 Settembre 2022
Abbiamo raccontato spesso e volentieri la pochezza dei contenuti offerti dal massimo campionato di calcio attraverso partite noiose, trite e ritrite, viste e riviste. Beh, finalmente ieri sera ci siamo seduti sul divano restando attaccati al televisore per novanta minuti più recupero senza sbadigli, senza “adesso vado in cucina a prendere qualcosa che mi è tornata la fame, passami il telecomando, facciamo zapping per guardare cosa ci propinano gli altri canali”. Milan-Napoli è stato uno spot per il pallone indigeno di quelli riusciti bene, di quelli che aiutano a vendere meglio il prodotto in giro per il mondo e, perché no, ti avvicinano a una maniera in qualche modo più europea di intendere il gioco e lo sport in generale.
Hanno vinto i partenopei, viva i partenopei: però, sottolineiamolo pure senza alcun timore di poter essere smentiti, avessero vinto i rossoneri non ci sarebbe stato nulla da dire, avremmo detto viva i rossoneri. Due squadre che hanno onorato l’impegno, due squadre che se le sono date, sportivamente parlando, dal primo all’ultimo secondo senza mai risparmiarsi, senza tirare indietro la gambetta o il piedino, senza cadere al più flebile alito di vento come vediamo fare, purtroppo, spesso in serie A, che dalle altre parti non ci si lancia in fantasmagorici carpiati appena senti il respiro dell’avversario a un metro di distanza. Spalletti e Pioli hanno costruito gruppi prima ancora che singoli calciatori e i loro uomini lottano uno al fianco dell’altro per ottenere il risultato, senza pensare alla gloria personale ma, piuttosto, al bene del club. Poche chiacchiere e tanto lavoro, poche primedonne e tanto sacrificio. Corroborato da idee chiare, laddove chi scende in campo sa perfettamente cosa deve fare e come farlo. Stesse idee chiare proposte da Gasperini e dalla sua Atalanta: lo scrivevamo in epoche non sospette, attenzione ai bergamaschi che partono senza luci della ribalta e senza pressioni, oltre a poter preparare le partite settimanalmente per mancanza di un palcoscenico europeo. Oggi ci vien da scrivere occhio anche all’Udinese, tanta grinta, tanta fisicità, tanta tecnica. I friulani vincono la sfida con l’Inter meritatamente, correndo come invasati dal minuto uno alla fine, lasciando sfogare in qualche frangente i nerazzurri per poi colpirli e affondarli. Se da una parte Sottil indovina tutte le mosse dall’altra Simone Inzaghi trasmette in maniera palese l’idea di trovarsi in una clamorosa confusione mentale: al netto di una condizione atletica deprimente – poco importa se l’Inter è la terza o la quarta squadra per chilometri percorsi, conta come corri e a che velocità, non quanta strada fai – la sua idea di pallone cozza contro avversarie che conoscono perfettamente come si schiera l’Inter in campo e in quale modo colpirla facendole male. Tutti se ne sono resi conto: tutti tranne Simone Inzaghi che ieri è riuscito a sostituire dopo mezz’ora due calciatori “per dare una scossa” proseguendo con un insopportabile 3-5-2 dannoso non tanto per gli altri quanto per gli stessi nerazzurri.
Anche la Juventus gioca, si fa per dire, una non partita a Monza. E non può passare come alibi l’espulsione, sacrosanta, di Di Maria. I bianconeri sono slegati, assenti, svogliati, inconcludenti, offrendo all’avversario di turno un numero considerevole di opportunità. Allegri, invece di prendersela con chi giustamente analizza in maniera negativa la squadra e le sue scelte, dovrebbe cominciare a fare un filo di sana autocritica, non sarebbe tanto male come scelta.
Adesso tutti fermi quindici giorni per l’esaltante Nations League: si ricomincia con una sfida, Inter-Roma, non raccontiamo da ultima spiaggia, non è vero. Facciamo da penultima.
Alla prossima.
Nato a Milano, giornalista, scrittore, speaker radiofonico ed opinionista televisivo, laureato in Marketing e Comunicazione d’Impresa.