Di Gabriele Borzillo
3 Febbraio 2020
Niente di nuovo da segnalare, a parte il fatto che ormai le tre davanti hanno scavato un solco difficilmente colmabile da chi insegue. Soprattutto se chi insegue fornisce prestazioni tipo Roma a Reggio Emilia, Milan in casa col Verona o Atalanta, sempre tra le mura amiche, col Genoa. Ormai, a meno di sconvolgimenti o maremoti, i primi tre posti validi per la Champions sembrano assegnati con buona pace di tutti quanti.
Vince la Juventus tra mille polemiche e battibecchi. Il presidente viola Rocco Commisso e Pavel Nedved non se le sono certo mandate a dire; oggetto del contendere il calcio di rigore assegnato dall’arbitro Pasqua ai bianconeri. Ora, senza entrare nello specifico – se il rigore ci fosse o meno ci sono moviole, movioline e moviolette che ne hanno discusso e continueranno a discuterne nei giorni a venire – il problema è sempre lo stesso: manca uniformità di giudizio, ogni arbitro decide per conto suo e lo stesso episodio viene valutato in maniera differente a seconda di chi ha il fischietto in bocca.
In soldoni, ammesso e non concesso che il fallo di Ceccherini sia da punire con il calcio di rigore, come mai, ad esempio, lo stesso metro non viene usato da Manganiello che, in Inter-Cagliari, sorvola su un’entrata molto più decisa di un giocatore rossoblù nei confronti di Young? Perché qui sta il problema, che da una settimana all’altra si vedono episodi simili giudicati in maniera del tutto differente. Magari, se lo desidera, Rizzoli potrebbe spiegare. O, forse, sarebbe meglio che al prossimo raduno dei direttori di gara si decidessero linee guida da seguire senza uscire dal seminato. Il campionato sta entrando nella fase più delicata, davanti la lotta a tre sembra farsi sempre più serrata, bisogna necessariamente ci siano regole da seguire uguali per tutti e non fischiare a discrezione di tizio o caio. Ad ogni modo, giusto per chiudere l’argomento Juventus, al di là della massima punizione decretata da Pasqua – parliamo della seconda, sulla prima c’è poco o nulla da discutere – i bianconeri hanno dominato in lungo e in largo la partita, meritando i tre punti senza dubbi né fatiche.
Anche la Lazio avanza ad ampie falcate, strapazzando chiunque trovi sul suo cammino.
Certo, c’è da dire che la Spal ieri ha lasciato perplessi, sia per il gioco mostrato sia, soprattutto, per l’atteggiamento. D’accordo, andavi in casa di una delle prime forze del campionato ma scendere in campo in maniera così remissiva è quantomeno controproducente, considerando che stai lottando per mantenere la massima serie. Intanto Ciro Immobile, con la doppietta ai biancazzurri estensi, è arrivato a venticinque gol in ventuno partite giocate, venti dal primo minuto ed una da subentrante. Se non è record poco ci manca. Oltretutto gli uomini di Simone Inzaghi hanno trovato in Caicedo il perfetto sesto uomo del basket; tanta corsa, tanta voglia, tanti gol per il bomber ecuadoriano, finalizzatore sì ma, al contempo, spalla ideale del Ciro nazionale.
L’Inter passa indenne a Udine non senza fatica. Il primo tempo degli uomini di Conte è al piccolo trotto, raramente pericolosi e spesso messi in difficoltà dalle ripartenze friulane. Eriksen, al debutto dall’inizio, ha necessità di mettere minuti nelle gambe, conoscere il calcio italiano e trovare la posizione corretta nel 3-5-2 contiano, dove nulla è dato al caso ma tutto viene studiato meticolosamente a tavolino. Poco aderenti i paragoni con lo Sneijder di Mourinho; quella Inter, al netto della forza oggettiva dell’undici titolare, giocava un calcio completamente diverso da quella attuale; con Antonio Conte anche il talentuoso olandese avrebbe incontrato qualche difficoltà in più, fermo restando che Eriksen è diverso per struttura, passo e agilità. Il danese non è il fuoriclasse tipo Maradona o Pelé; è un calciatore che alzerà il livello medio dei nerazzurri, avendo nelle sue corde la capacità di far rendere al meglio chi gli sta a fianco sul terreno di gioco. Si tratta di pazientare il giusto, il vero Eriksen lo vedremo tra qualche settimana.
Brutte, come scrivevamo all’inizio, le prestazioni di Roma, Milan ed Atalanta. I giallorossi, annichiliti nella prima mezz’ora dal Sassuolo di De Zerbi padrone assoluto del campo, cercano la rimonta ma senza successo e pagano pegno. L’Atalanta fatica, si siede dopo il vantaggio iniziale, subisce la rimonta genoana, pareggia ma nulla più. Gasperini, nel dopo partita, ha bacchettato i suoi: poca concentrazione e certezza di vincere per grazia ricevuta non sono piaciute al tecnico di Grugliasco. Anche il Milan non incanta: senza Ibra i rossoneri stentano, subiscono il Verona, recuperano un po’ casualmente e, fino alla corretta espulsione di Amrabat – intervento senza senso quello del giovane marocchino con cittadinanza olandese – faticano a reggere la corsa e l’agonismo degli scaligeri che colpiscono due pali e creano occasioni pericolose senza sfruttarle a dovere. In undici contro dieci qualcosa di più si è visto, ma troppo poco per portarsi a casa la posta piena.
Ultimo pensiero per il Torino: Mazzarri appare ormai sempre più ai titoli di coda. Quindici gol nelle ultime tre partite sono difficili da mandare giù, e per il presidente Cairo e per una tifoseria, quella granata, abituata ad altro genere di prestazioni; perché il problema, sconfitte a parte, sta nella confusione in campo, nel consegnarsi mani e piedi all’avversario di turno, nella mancanza di reazione appena le cose si complicano. Il cuore Toro non è ciò che stiamo vedendo, troppo brutto per essere vero.
Nato a Milano, giornalista, scrittore, speaker radiofonico ed opinionista televisivo, laureato in Marketing e Comunicazione d’Impresa.