Di Francesca Brienza
19 Giugno 2021
Sembra che questa volta non solo ci siano le idee, ma che siano persino chiare. I Friedkin, come ha avuto modo di raccontare Guido Fienga in un recente intervento radiofonico, stanno forgiando una “nuova” Roma che, mantenendo intatte le qualità (non storcete il naso, ci sono state!) esibite nel corso dell’ultimo decennio, dovrebbe essere in grado di rimuovere quegli ostacoli che si sono sempre frapposti nel cammino verso la vittoria.
Ostacoli di ordine mentale, prima ancora che tecnico. L’emblema di questo “nuovo” corso è senza dubbio l’allenatore. La Roma si è affidata a Mourinho per radicare a Trigoria la più volte evocata mentalità vincente. Eppure, personalmente, ritengo che la squadra non abbia bisogno specificamente di questo. La Roma ha già appreso in passato come si vince, sapendo emozionare il proprio pubblico in moltissime occasioni.
Il problema risiede altrove ed è semmai quello di non dimenticare come si fa, neutralizzando quella sorta di amnesia cronica che per troppo tempo ha afflitto i giallorossi. Durante la gestione targata James Pallotta, infatti, non sono certo mancati scampoli di una Roma gagliarda e garibaldina, una squadra che giocava per vincere e divertire: dalla rincorsa alla Juventus con Rudi Garcia in panchina, alla semifinale di Champions League contro il Liverpool nel 2018. Il problema, ormai atavico, sopraggiungeva alle prime amare sconfitte.
Raramente, infatti, si è assistito ad una reazione senza ricadute ravvicinate. Adesso, per scrollarsi di dosso i demoni del passato, si confida nello “Special One”, colui che ha elevato la “cultura della vittoria” a proprio marchio di fabbrica. A differenza di qualche anno fa, oltretutto, la società pare fermamente intenzionata a proteggere e sostenere il timoniere posto al comando della squadra.
Nel sottolineare che “questo è un progetto e bisogna lasciarlo lavorare (Mou) perché i successi non saranno immediati”, Fienga ha chiaramente chiesto ai tifosi di avere pazienza e, al tempo stesso, ha asserragliato il coach all’interno di un fortino eretto per metterlo al riparo da pressioni esterne, critiche, malelingue e tam tam mediatico. Di più.
La società sta già facendo scudo, rispedendo al mittente i dubbi di quanti insinuano che l’allenatore portoghese abbia imboccato da un pezzo il viale del tramonto. Una cosa è certa. Questa Roma aveva bisogno di drastici cambiamenti al suo interno. Aveva bisogno di lavare più panni in famiglia, come fanno le società importanti, non permettendo più ai muri di Trigoria di trasudare notizie che sarebbe stato opportuno evitare di divulgare. Le idee sono chiare. Speriamo lo siano anche i fatti.
Conduttrice, giornalista televisiva e viaggiatrice. Di dichiarata fede romanista, da anni prendo parte a molti salotti televisivi che parlano di calcio per far valere anche le opinioni di chi é donna in un mondo apparentemente accessibile solo agli uomini. Vado dove mi porta il calcio e non solo.