Di Alfredo Pedullà
4 Maggio 2022
È andato via troppo presto, a 54 anni. È andato via dopo qualche fake news di chi aveva anticipato la sua morte di almeno 48 ore, con una disinvoltura come minimo becera e sicuramente folle. Mino Raiola stava male da mesi, gli addetti ai lavori sapevano che ci sarebbero stati pochi margini di vedere la luce e di combattere un male incurabile. Il dolore in situazioni del genere coinvolge i parenti più intimi e quelli che gli hanno sempre voluto bene, soprattutto comprende un concetto molto più ampio. Mino Raiola era, è e sarà il signor calciomercato: ha cambiato il mondo delle trattative, lo ha ribaltato rispetto a una routine, lo ha preso di petto e se l’è caricato sulle spalle.
L’originalità del personaggio, mai banale e sempre in prima fila quando bisognava prendere le decisioni più impopolari. Oppure quando occorreva “violentare” il mondo mediatico con dichiarazioni roboanti, talvolta opinabili, spesso taglienti ma comunque sempre a difesa dei suoi assistiti. Era l’unica cosa che per lui aveva la precedenza, molto più del conto in banca infinito che lo ha fatto diventare uno degli agenti più ricchi al mondo. Il calcio era diventato la sua famiglia allargata, i calciatori che assisteva suoi figli, nipoti, cugini, fratellini minori. Il bello di questa storia è che, contrariamente a qualche suo collega che spesso fa acrobazie non tutte limpide per acquisire una procura, lui doveva dirigere il traffico e mettere una barriera. Oppure un cartello con su scritto “tutto esaurito”. Già, perché era considerato il Migliore e i Migliori volevano andare da Mino Raiola. Come se fosse una polizza per la vita, essere assistiti da chi avrebbe consentito il guadagno, la fama, la gloria, la popolarità, una carriera più lunga e prestigiosa. Praticamente tutto.
Ci viene in mente un episodio tra tanti, collegato a Lorenzo Insigne. Ora che sta per andar via da Napoli e che ha scelto Toronto come terra promessa per un fine carriera sempre più milionario, tornano agli onori della cronaca i momenti di quella sua svolta professionale senza sbocchi. Insigne già qualche anno fa aveva messo in preventivo la possibilità di lasciare il Napoli, magari per andare nella Liga (il campionato che esalta la tecnica individuale) oppure in Premier. E aveva scelto Raiola, abbandonando gli agenti di sempre, proprio per cullare questo desiderio. Sapeva che soltanto Raiola avrebbe potuto trovare una strada dentro un sentiero impervio. Impervio perché De Laurentiis avrebbe chiesto non meno di 70 milioni e quel passaggio sarebbe stato alla fine una barriera che non avrebbe permesso di arrivare alla soluzione invocata. Raiola aveva già un parco macchine di assoluto spessore, decise di provarci. Ma, quando capì che la salita sarebbe stata sempre più ripida, non forzò la mano e lasciò Insigne a un altro destino. Meglio salutarsi da amici, per l’impossibilità di individuare la formula vincente, piuttosto che coltivare illusioni che avrebbero fatto perdere tempo a lui e al suo assistito abbastanza fresco di nomina. I Migliori sono quelli che, senza vendere bigiotteria per gioielleria, sanno individuare il momento per frenare e voltare pagina.
Zlatan Ibrahimovic, uno dei suoi assistiti storici, ha spiegato nei dettagli l’uomo Mino e il professionista. Un rapporto nato con grande umanità: Ibra era un attaccante di talento che voleva diventare un fuoriclasse, l’idillio è stato immediato e ha portato strada facendo ai risultati che conosciamo. Ibrahimovic è ancora lì, a quasi 41 anni, sta fremendo per vincere un altro scudetto con il Milan. Poi forse deciderà di lasciare l’attività agonistica: è una traccia e non una sentenza, dobbiamo aspettare. Se davvero accadesse, potrebbe essere lui il nuovo testimonial dell’azienda Raiola, non soltanto l’ambasciatore ma un punto di riferimento proprio per il grande rapporto che c’è sempre stato. Zlatan è il simbolo di un incredibile drappello di campioni: Pogba è cresciuto con Raiola, fin dai tempi del suo trasferimento alla Juve a parametro zero; de Ligt il nuovo che avanza come Gravenberch; il meraviglioso Haaland é stato coccolato fin dai primi passi; Verratti ha avuto nell’agente il riferimento della decisione più importante della sua carriera, il rinnovo con il Paris Saint-Germain a circa 17 milioni a stagione. E cosa dire di Donnarumma: le battaglie con il Milan, il primo rinnovo tormentato prima dell’addio della scorsa estate a parametro zero per andare proprio a Parigi? Una gestione difficilissima, non soltanto per il rapporto con il club rossonero ma anche per le reazioni social pesanti che avevano visto in Raiola l’artefice di quell’addio dolorisssimo. Ma lui ha sempre pensato ai suoi “figli”: più il clima si faceva rovente e più si divertiva. Quando non ne poteva più, andava sugli stessi social e metteva qualche scritta a carattere cubitali, quel cartello “fake news” per smontare quasi in tempo reale chi finge notizie che avrebbero potuto mandare in malora il suo lavoro.
Presente sempre, in prima persona, il signor calciomercato: qualsiasi strada aveva una scorciatoia che portava idealmente a casa sua. Nella carriera spezzata in modo prematuro ha scritto pagine indelebili e lascia un’eredità difficile, sarà difficile vedere un altro Raiola in tempi rapidi. Il vuoto che lascia, nel suo rapporto con la gente che assisteva – figli prima che campioni – è sintetizzato dal toccante messaggio social di de Ligt: “Non sono pronto a scrivere questo messaggio. Mino, mi mancherai. Anzi, già mi manchi troppo. Ti amo”.
Giornalista e opinionista sportivo, grande esperto di calciomercato in Italia. "È un privilegio quando passione e lavoro coincidono".